Cari confratelli
nei giorni più importanti dell’anno per la nostra vita di fede sento il desiderio di condividere con voi qualche pensiero di gratitudine a Dio. Papa Francesco, nella sua omelia della messa crismale, parlando del riposo ai sacerdoti, mi ha fatto subito pensare a tutte le nostre comunità dove ognuno lavora con tanto impegno e sacrificio. Alcuni tra voi più giovani non hanno veramente posa per i tanti servizi che con passione vivono. E ancor di più, chi è anziano e sente il peso degli anni e di tante cose cambiate: è meraviglioso vederlo con fedeltà e quotidiana tenacia impegnarsi per dare ancora tutto ciò di cui è capace. Per questo mi è sembrata preziosa la riflessione del Papa riguardo la stanchezza, da lui rivolta in particolare ai sacerdoti, ma sicuramente valida per tutti noi consacrati e soprattutto per i fratelli che si sa, sono più di tutti esempio di disponibile e umile servizio, e perciò ancor di più bisognosi di riposo:
Succede che, quando sentiamo il peso del lavoro pastorale, ci può venire la tentazione di riposare in un modo qualunque, come se il riposo non fosse una cosa di Dio. Non cadiamo in questa tentazione. La nostra fatica è preziosa agli occhi di Gesù, che ci accoglie e ci fa alzare: “Venite a me quando siete stanchi e oppressi, io vi darò ristoro”. Quando uno sa che, morto di stanchezza, può prostrarsi in adorazione, dire: “Basta per oggi, Signore”, e arrendersi davanti al Padre, uno sa anche che non crolla ma si rinnova, perché chi ha unto con olio di letizia il popolo fedele di Dio, il Signore pure lo unge: “cambia la sua cenere in diadema, le sue lacrime in olio profumato di letizia, il suo abbattimento in canti”. Teniamo ben presente che una chiave della fecondità pastorale sta nel come riposiamo e nel come sentiamo che il Signore tratta la nostra stanchezza. Com’è difficile imparare a riposare! In questo si gioca la nostra fiducia e il nostro ricordare che anche noi siamo pecore e abbiamo bisogno del pastore, che ci aiuti.
Ho trovato meravigliosa questa esortazione così paterna e così sapiente e per questo la rivolgo a voi come mio primo augurio, pensando in particolare alle nostre comunità dove sovente ci sentiamo pochi, spesso inadeguati e privi delle forze necessarie davanti ai bisogni che il Signore ci mostra. Nella mia breve esperienza ho imparato però a benedire questa inadeguatezza, e a non rincorrere un’efficienza che ci farebbe perdere la necessaria umiltà e precarietà che ci costringe ad appoggiarci in Dio, e in Dio soltanto. Ho capito che questa precarietà è connaturale con il mistero del Regno, con il seme gettato, con il resto di Israele. Fratelli penso che altre sono le precarietà che a volte ci affliggono e che dobbiamo combattere con tutte le nostre energie umane e spirituali.
Voglio esprimervi questo pensiero con le parole di un santo pastore dei nostri tempi, don Tonino Bello: La vera tristezza non è quando non sei più atteso da nessuno al tuo rientro a casa, ma quando tu non attendi più nulla dalla vita. E la solitudine più nera la soffri non quando trovi il focolare spento, ma quando non lo vuoi più accendere. Parole che fanno pensare anche noi, a volte delusi dal fioco focolare delle nostre relazioni o dalle comunità troppo piccole per sostenere le nostre conflittualità e il nostro bisogno di fraternità.
Oggi recitando insieme ai fratelli l’antica nostra preghiera dell’Ante oculos tuos, (che in verità non ho mai molto amato per l’enfasi posta sul castigo e sull’ira di Dio, ma ho imparato a rispettare perché consegnataci da una sapiente tradizione dei nostri padri) ho capito quanto sia importante riconoscere il mio peccato personale davanti a Dio e ai fratelli, e chiedere con umiltà perdono. Quanto ci farebbe bene vivere con costanza questo semplice ed umile gesto che ci pone al giusto posto rispetto a Dio e ai confratelli coi quali, per grazia, viviamo! Ancora una volta mi ha sorpreso Papa Francesco giovedì a Rebibbia, per la Messa nella Cena del Signore quando ha detto ai carcerati con la sua consueta spontaneità: … anch’io ho bisogno di essere lavato dal Signore, e per questo pregate durante questa Messa perché il Signore lavi anche le mie sporcizie, perché io diventi più schiavo di voi, più schiavo nel servizio della gente, come è stato Gesù. Da qui il secondo augurio che vorrei ci facessimo in questa santa Pasqua nell’anno della vita consacrata: Lasciamoci lavare i piedi dal Signore, altrimenti non avremo parte con lui! Lasciamoci lavare i piedi per essere capaci di lavarceli gli uni gli altri, secondo l’invito del Signore, per essere beati. Vorrei che rispondessimo tutti come sant’Ambrogio al comando del Signore: Voglio lavare anch’io i piedi ai miei fratelli, voglio adempiere il comandamento del Signore! Egli mi comanda di non avere vergogna, di non disdegnare di compiere quello che lui stesso ha fatto prima per me. Il mistero dell’umiltà mi è di vantaggio: mentre detergo gli altri, purifico me stesso (De Spiritu Sancto, 12). Un cammino di purificazione segnato perciò dall’amore ricevuto e dall’amore dato. Ecco la nostra vita.
La luce pasquale cari fratelli ci trovi purificati, vigilanti nell’attesa, lieti nella tribolazione, grati per la chiamata ricevuta, “incorporati”, direbbe il nostro santo padre Agostino, per vivere dello Spirito Santo che è “l’anima del Corpo di Cristo”, la Vita delle nostre comunità.
Mentre vi chiedo una preghiera perché io diventi più schiavo di voi, più schiavo nel servizio a tutti voi, porgo un augurio sincero e fraterno a tutti voi. Buona santa Pasqua di Resurrezione.
In comunione…
P. Luciano De Michieli
Priore Provinciale