Con una Messa Solenne, presieduta dal Cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per la Causa dei Santi, presso la Chiesa di S. Agostino in Campo di Marzio, il 22 ottobre scorso, si è aperta la serata dedicata a San Tommaso da Villanova. Riportiamo interamente l’omelia del Cardinale.
Subito dopo è seguita la presentazione dei due volumi del Corpus iconografico a cura della dottoressa Benedetta Montevecchi. Ha moderato Padre Josef Sciberras, postulatore generale dell’Ordine di S. Agostino. Questa parte è stata conclusa da P. Antonio Iturbe Saiz, osa. Il tutto coordinato dal Prof. Roberto Tollo.
A seguire il concerto della Corale Florilegium Musicae.
San Tommaso da Villanova (1486-1555)
Omelia[1]
Angelo Card. Amato, SDB
- Si è appena conclusa la prima sessione del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia cristiana, autentica chiesa domestica, che accoglie la vita nascente, educa i figli nella fedeltà a Cristo e alla sua parola, immettendo nella società onesti cittadini e nella Chiesa buoni laici e numerose e sante vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa.
È questo il caso della famiglia di San Tommaso da Villanova. Tomás García Martínez – questo il suo nome da laico – nacque in Spagna nel 1486 a Fuenllana (Ciudad Real), ma visse nella vicina Villanueva de los Infantes, residenza della sua nobile e ricca famiglia. Fin dalle più antiche biografie si nota l’insistenza con la quale si loda la santità dei genitori e soprattutto la loro carità verso i poveri. Si racconta, ad esempio, che possedevano, tra le altre proprietà, anche un mulino non lontano da Villanova. Tutta la farina che veniva ricavata, era portata ogni giovedì a casa e al venerdì era interamente distribuita ai poveri, parte sfusa e parte in pane già infornato.[2] Nelle feste principali i genitori inviavano ai poveri vergognosi cibo, legna e denaro. Per questo mamma Lucia veniva chiamata la Santa Elemosiniera («Santa Limosnera»).[3] Tutto ciò ebbe un grande influsso su Tommaso, anch’egli chiamato Santo Elemosiniere e Padre dei Poveri («Santo Limosnero», «Padre de los pobres»).[4]
Del piccolo Tommaso, cresciuto in questo clima edificante di generosità discreta ma concreta, la tradizione tramanda questo curioso episodio. A sette anni, il bambino un giorno si trovò davanti sei poveri che gli chiedevano l’elemosina. In assenza della mamma e non avendo la chiave della dispensa il piccolo regalò loro, in mancanza d’altro, i sei pulcini della covata. Alla madre che gli chiedeva la ragione di ciò, rispose che se i poveri fossero stati sette avrebbe dato al settimo anche la gallina.[5]
A quindici anni il giovane Tommaso frequenta l’università di Alcalá de Henares, fondata dal cardinale Cisneros, dove ottenne i gradi accademici. L’università di Salamanca gli offrì una cattedra di filosofia morale, ma a Salamanca il nostro Santo, ormai trentenne, si recò solo per entrare, nel 1516, nel noviziato degli Agostiniani, emettendo, il 25 novembre dell’anno seguente, la professione religiosa.
Ordinato sacerdote nel dicembre del 1518, per le sue doti di cultura e di saggezza, fu superiore in vari conventi e anche primo provinciale di Andalusia e di Castiglia. Si distingueva per il dono della predicazione. A Valladolid, ad esempio, lo stesso imperatore Carlo V si recava ad ascoltarlo. La sua molteplice e apprezzata opera in seno all’Ordine fu contrassegnata dall’armonia tra scienza e virtù e da una spiccata dimensione missionaria. A lui si devono, ad esempio, due spedizioni missionarie verso il Messico e il Perù. Che i religiosi fossero santi e sapienti e andassero volontariamente, era questo il criterio di scelta dei diciotto missionari agostiniani, che parteciparono alla seconda e alla terza spedizione americana. Questa opzione era da lui giustificata dal fatto che in Europa, per il diffondersi del protestantesimo e per la forte pressione dell’Islam, la Chiesa veniva disprezzata e contaminata («Ecclesia inter nos despicitur et contaminatur»).[6] Bisognava quindi trasmigrare nelle Americhe per un futuro più roseo.
- Dopo molteplici esperienze di governo e dopo aver rinunciato a diventare arcivescovo di Granada, dovette, infine, nel 1544 obbedire al Papa e all’imperatore Carlo V e accettare la nomina ad arcivescovo di Valencia, ufficio che ricoprì per undici anni, fino alla morte.
Consacrato vescovo, partì per Valencia, senza nemmeno salutare la mamma, perché voleva subito recarsi in diocesi. Il 1° gennaio 1545, infatti, fece il suo ingresso ufficiale, iniziando immediatamente la visita pastorale a una chiesa profondamente decaduta per «la lunga assenza dei suoi predecessori, il gran numero di moriscos, mal integrati e peggio convertiti, il rilassamento morale del clero secolare, la mancanza di un centro dove i giovani aspiranti al sacerdozio potessero formarsi umanamente, culturalmente e spiritualemente».[7]
Per questo chiese e ottenne la dispensa dalla partecipazione alla prima sessione del concilio di Trento, iniziata proprio nel 1545. Nel 1548 tenne un sinodo, i cui decreti appaiono una vera profezia delle decisioni disciplinari del Tridentino. Fondò anche il Collegio della Presentazione, istituzione anch’essa antesignana dei seminari voluti dallo stesso concilio.
Da vescovo continuò a mantenere fede alla povertà religiosa, devolvendo ai bisognosi la consistente somma di denaro ricevuta dai canonici il giorno del suo ingresso in diocesi. Le entrate del suo ministero di pastore le considerava patrimonio dei poveri. Ogni giorno provvedeva il cibo a 300, 400 e anche 500 poveri, senza contare quanto distribuiva segretamente a coloro che si vergognavano di chiedere l’elemosina.
Per risparmiare rammendava da sé l’abito vescovile.[8] Era particolarmente generoso verso i sacerdoti poveri, dal momento che a quel tempo c’era un esteso proletariato clericale bisognoso di assistenza.
Predicava volentieri e in modo semplice, senza artifici retorici. Fece preparare dei catechismi essenziali per l’istruzione della gioventù ed egli stesso istruiva con dolcezza e affabilità le persone rozze e ignoranti. Soccorreva le fanciulle in difficoltà, donando loro una dote adeguata per il matrimonio. Visitava e assisteva gli ammalati con cura materna. Manteneva a sua spese un farmacista, due medici e un chirurgo per la loro cura gratuita.
Aveva un’attenzione particolare per i peccatori, esortandoli alla conversione; alle parole faceva seguire le preghiere, i digiuni e le penitenze, per ottenerne il ravvedimento. Difese la diocesi dalla minaccia turca.
Prima di morire, ordinò che si distribuisse ai poveri tutto il denaro che si trovava in casa e si vendessero i mobili. Per lui riservò solo un giaciglio, che, dopo la morte, fu consegnato a un servo.
Morì l’8 settembre 1555 rimpianto a calde lacrime dai poveri della città. Dichiarato beato nel 1618, fu canonizzato il 1° novembre 1658 da papa Alessandro VII, che gli dedicò la parrochia di Castelgandolfo.
- San Tommaso da Villanova fu un teologo dal profondo animo pastorale. Per la sua dottrina mariana fu chiamato il san Bernardo spagnolo. Il suo insegnamento sull’amore divino ebbe grande influsso sui contemporanei. L’Opera omnia in sei volumi, pubblicata a Manila tra il 1881 e il 1897, resta un monumento della sua sapienza dottrinale. La sua fama di santità e di miracoli era talmente diffusa nel popolo, che grandi pittori – come, ad esempio, Bartolomé Murillo, Juan de Joanes, Zurbarán, Ribalta – lo celebrarono con tele di altissimo valore artistico e religioso.[9]
Il capitolo generale tenuto a Roma nel 1953 dichiarò San Tommaso da Villanova, Patrono degli studi dell’Ordine Agostiniano. Sotto la sua protezione sono poste in varie parti del mondo numerose istituzioni, come, ad esempio, la Congregazione agostiniana delle Suore di san Tommaso da Villanueva, fondata in Francia nel 1661, l’ospedale generale di Panama, l’università cubana dell’Avana, la Saint Thomas University in Florida, la Villanova University in Pennsylvania.
- L’odierna liturgia della parola sottolinea il carisma proprio del nostro Santo, e cioè il suo amore ai poveri, ai diseredati, ai bisognosi. Egli imitò alla lettera Gesù, che – come dice San Paolo nella seconda lettera ai Corinzi – «da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9). Con la sua generosità San Tommaso innalzò a Dio un perenne inno di lode e di ringraziamento. E la sua carità verso i bisognosi si manifestava con discrezione e umiltà, non suonando la tromba per essere lodato. Fatta nel silenzio era conosciuta e ricompensata solo dal Padre celeste (cf. Mt 6,1-4). Il Santo era consapevole del fatto che «chi aiuta un povero fa un prestito al Signore» (Prov 19,17).
- San Tommaso da Villanova appartiene alle grandi figure del secolo d’oro della Spagna. Esperti della sua vita e delle sue opere vedono in lui un esempio eroico di santità evangelica, un pastore dal cuore misericordioso, uno sperimentato maestro di spiritualità.
Ispirandomi a una riflessione maturata da alcuni studiosi agostiniani, vorrei evidenziare tre note della sua innegabile attualità, soprattutto alla vigilia dell’anno dedicato alla vita consacrata: 1) la vocazione religiosa come via di santificazione; 2) l’opzione radicale per i poveri; 3) la preghiera.[10]
- È commovente rileggere alcune espressioni del nostro Santo sul confronto tra vocazione religiosa e laicale: «Non c’è maggior consolazione, né diletto più piacevole che servire Dio. La vita religiosa è tranquilla, pacifica, sicura, dilettevole, gioiosa, ragionevole, amabile e gratissima. La vita del mondo […] è una vita inquieta, travagliata, agitata, pericolosa, amara e molto piena di impegni e preoccupazioni. Chi ha esperienza sa molto bene ciò che dico».[11]
Sono parole che sembrano ingenue e lontane dalla realtà, ma il nostro Santo ha una concezione alta della vita religiosa, vista come una chiamata specialissima, come un soffio dello Spirito, che porta il consacrato a succhiare come ape industriosa i fiori dei pensieri santi e delle devote meditazioni per elaborare il dolce miele della carità. Nessuno – egli dice – né i genitori, né i fratelli, né i familiari, può fermare il giovane chiamato a questa vita di grazia. Se il consacrato consegna a Dio in olocausto tutto quanto è e possiede, la professione religiosa diventa una specie di rigenerazione battesimale. Aggiunge anche – forse con un po’ di rammarico per la sua personale esperienza – che la grazia della vocazione è molto più grande quando Dio si degna di concederla in gioventù, perché allora si gustano le benedizioni della dolcezza, in una vita di purezza e semplicità angelica.
Comunque, per evitare ogni accusa di romanticismo fuori posto, il nostro Santo ritiene che la vocazione religiosa richiede sacrifici. È un martirio continuo. È una chiamata insistente a seguire Cristo sulla croce. È la crocifissione delle vanità mondane. Chi non indossa la veste bianca della carità e del sacrificio non può entrare al banchetto del re.
Chiamando Sant’Agostino, Patriarca del monachesimo occidentale, egli conferma che tutti gli altri grandi fondatori hanno evidenziato un aspetto caratteristico della sequela Christi: «Benedetto elesse i piedi di Cristo; Agostino il cuore; Domenico la lingua; Francesco la testa coronata di spine. Questi sono i monti elevati di cui parla il salmo (103,18)».[12]
La caratteristica, quindi, della vocazione agostiniana è la perfezione del cuore. Per questo occorre arricchirlo di virtù, evitando il peccato come micidiale lebbra spirituale, che inquina e rende tristi. Il peccato sfigura l’immagine divina nelle persone. Occorre ricuperare la grazia mediante la carità, che implica la povertà volontaria, la castità, l’umiltà, la mansuetudine, il silenzio, la modestia, la vita comune. Liberando il cuore dai lacci del male, lo si introduce nell’immensità della divina bontà.
- Un secondo aspetto dell’attualità del nostro Santo è la sua radicale opzione per i poveri sull’esempio di Cristo. Abbiamo già visto che anche da arcivescovo viveva parcamente, come il più povero dei frati. Affrontò la povertà con spirito evangelico, ricordando la triste sorte del ricco epulone, che accumulava tesori sulla terra senza sapere perché e per chi. A costui egli assimila anche chi, in religione, non compie il proprio dovere, chi inganna, chi non fa quello che è giusto. La purificazione del cuore implica l’imitazione di Cristo nella povertà. Il Signore, infatti, visse povero da Betlemme fino al Calvario. Se dai al povero – ripeteva spesso – , dai a Cristo e se dai a Cristo dai a Dio.[13]
- Un terzo aspetto di attualità risiede nella preghiera, che esige due condizioni: la solitudine e la pace interiore. Chi prega deve mettersi ai piedi di Gesù e contemplarlo nel silenzio della sua anima, lontano del tumulto degli appetiti e degli affetti. In tal modo l’anima sperimenta la comunione gioiosa con Dio. Situarsi ai piedi di Gesù e non vicino alla sua testa significa umiliarsi, perché l’umiltà fa fruttificare la preghiera. L’umiltà è come l’acqua, che quando è pura e cristallina riflette le cose e le rende più grandi e belle. L’umiltà è la casa di ogni vurtù.
Questo aspetto viene molto sviluppato dal nostro Santo anche in relazione alle monache agostiniane, che, imitando la nobiltà della Vergine Maria, la seguono sulla via dell’umiltà e della purezza di cuore. È l’umiltà la vera nobiltà della consacrata, perché non c’è nobiltà maggiore di quella di servire Cristo.[14]
- È questa una visione sapienziale della vita consacrata e del suo anelito alla santità nella comunione con Dio nella povertà, nella preghiera e nella carità. Si tratta di un patrimonio spirituale da riscoprire, rivalutare e soprattutto riattualizzare. In tal modo la celebrazione odierna avrà raggiunto il suo scopo.
San Tommaso da Villanova, prega per noi.
[1] Tenuta nella Basilica romana di S. Agostino in Campo Marzio il 22 ottobre 2014.
[2] Argimiro Turrado, Santo Tomás de Villanueva, Editorial Revista Agustiniana, Madrid 1995, p. 11-12.
[3] Ib. p. 12.
[4] Ib.
[5] Carlo Massini, Vite dei Santi, vol. IX, Borroni, Milano 1845, p. 157.
[6] Tommaso da Villanova, Conción in feria II post dominicam IV Quadrag., Conción 131,2.
[7] F.J. Campos y Fernández de Sevilla, Tommaso da Villanueva, in Il Grande Libro dei Santi, Cinisello B., San Paolo 1998, III p. 1889.
[8] Arturo Llin Cháfer, Semblanza biográfica de Santo Tomás de Villanueva, in Santo Tomás de Villanueva. I. Estudios y láminas, EDES – Biblioteca Egidiana, Madrid – Tolentino 2013, p. 23.
[9] Cf. il prezioso volume Santo Tomás de Villanueva. II. Corpus iconográfico, EDES – Biblioteca Egidiana, Madrid – Tolentino 2013.
[10] Cf. Argimiro Turrado, Santo Tomás de Villanueva, Maestro di Teología y Espiritualidad Agustiniana, Ed. Revista Agustiniana, Madrid 1995, soprattutto a p. 60-86.
[11] Tommaso da Villanova, In Dom. Quadrag. c. 6, n. 7.
[12] Tommaso da Villanova, In fest. S. Francisci, n. 11-13.
[13] Tommaso da Villanova, In Ps. 147,13.
[14] Ib. p. 81: In Nativit. B.M.V, c. 1, n. 9.
Ringraziamo per le foto ANDREA RAGGI e ROBERTO JANDOLI