Pubblichiamo il testo della conferenza di Padre Mattei in occasione della presentazione del libro “UN VESCOVO SENZA PAURA – Padre Giuseppe Bartolomeo Menochio”
IL VENERABILE MENOCHIO E LA FONDAZIONE DELLE ADORATRICI
PREMESSA
Le biografie del Menochio, che ho letto fin da giovane, facevano nascere in me la sensazione di trovarmi davanti a un personaggio smarrito tra i giganti del suo tempo, un uomo a cui tutti per qualche ragione avevano rubato la scena. E questo, mi sembrava, che fosse anche il giudizio della storia. Infatti mi sembrava strano che un personaggio del suo rango, quantunque schivo e profondamente umile, non avesse avuto un riconoscimento adeguato dal mondo ecclesiastico e dagli storici. Forse -pensavo- era ritenuto uno sconfitto, perché -come si sa- la storia la scrivono sempre i vincitori.
Non mi ha aiutato a cambiare parere il rigore freddo con cui negli anni ’70 sono stati pubblicati i documenti che lo riguardavano. E mi è risultata faticosa anche la lettura degli scritti del Menochio stesso, per quel suo scrivere grezzo e incolto.
Oggi sono lieto di avere tra le mani questa nuova biografia del Menochio che il dott. Nicola Gori ha voluto offrirci. E’ un lavoro agile e scorrevole, puntuale ed essenziale. C’era proprio bisogno di una biografia così: che risvegliasse la personalità del Menochio, che la facesse rivivere tra i grandi del suo tempo.
Vorrei oggi, con voi, guardare un attimo nell’animo di quest’uomo, vorrei cogliere il suo cammino spirituale, leggere nelle sue convinzioni. Puntare quindi la lente d’ingrandimento su alcuni aspetti della sua vita che Nicola Gori -per ovvi motivi- ha potuto solo sfiorare.
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AGOSTINIANO FINO IN FONDO
Ciò che -prima di tutto- mi ha colpito nel Menochio è l’analogia con Sant’Agostino. Quando nel 410 Roma cadde nelle mani dei Visigoti, per gli uomini di allora questo fu un fatto sconvolgente. Il senso di smarrimento che colpì tutti è ben espresso da San Girolamo: “Se Roma può cadere, che cosa può esservi di sicuro?” Diverso fu l’atteggiamento di Agostino, perchè lesse in quegli avvenimenti lo svolgersi misterioso della storia della salvezza. Annotava infatti che il tempo rende precarie e dissolve tutte le cose, ma l’esperienza della fede insegna che occorre costruire nel tempo ciò che non ha fine, la città di Dio, appunto.
Il tempo del Menochio è segnato da sconvolgimenti -se vogliamo- ancora più gravi per un cristiano. Il papa Pio VI, nel 1799, era stato deportato in Francia, dove era morto in stato di prigionia. Durante il Pontificato di Pio VII, la maggior parte delle diocesi è privata dei suoi vescovi, molti preti sono al confino, le case religiose non esistono più.
Sembra che Napoleone abbia detto al cardinal Consalvi che era sua intenzione distruggere la Chiesa. Vero o no, Napoleone nei fatti si comportò comunque di conseguenza e sembrava ormai esserci riuscito.
Come reagisce il Menochio agli sconvolgimenti del suo tempo?
Come ad Agostino, la storia non lo travolge, attraversa gli avvenimenti del suo tempo senza mai essere colpito. Il suo punto fermo è la certezza che le forze del male non prevarranno. Porta la tonaca da agostiniano, per quanto sia stata proibita; non fa il giuramento di fedeltà a Napoleone; non si ritira nel privato, ma ha una vita pastorale intensa, pur in mezzo a mille difficoltà. Costruisce senza un attimo di sosta la città Dio, quella città che il tempo non può dissolvere. E nei suoi scritti si capisce che di questo ne è profondamente soddisfatto.
Scrive a un monastero di monache:
Nelle persecuzioni la Chiesa ha sempre guadagnato e le persecuzioni dei suoi ministri e la desolazione della medesima l’han mantenuta nella purità dei dogmi e nella santità del suo Spirito. Basta solo riflettere che questa Chiesa è stata fondata da Gesù e Gesù per far questo ha faticato, patito ed è morto. Per cui una sposa che gli è costata così tanto, non l’abbandona e non l’abbandonerà mai. E se ci sono ministri e figli, deboli o infedeli, questo servirà per provare sempre più la fermezza e la verità della dottrina della Chiesa. Onde voi siate pur costanti e ferme nell’esser vere figlie di questa Sposa di Gesù, di questa Chiesa santa, fino al sacrificio di voi stesse, della vostra vita e al versamento del vostro sangue, quando così voglia Gesù. (D. VIII, 18)
Il suo portamento imponeva rispetto ai suoi nemici e benché fosse irriso come “fanatico e taumaturgo”, e ci fosse l’ordine di arrestarlo, tuttavia mai nessuno osò alzare le mani contro di lui.
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DALLA CARRIERA ACCADEMICA A PREDICATORE
Certamente, fin dai primi anni del suo sacerdozio, il Menochio era consapevole della drammaticità della situazione sociale e religiosa del suo tempo. Ma ad un certo punto abbandona la carriera accademica per la predicazione. Diventa sempre più consapevole del bisogno di una evangelizzazione più incisiva tra il popolo di Dio.
Due fatti segnano la svolta della sua vita.
Il primo è un accadimento apparentemente banale: un incidente di caccia l’anno prima dell’Ordinazione. Questo sport, praticato nel passato perfino dai papi, a quei tempi non faceva ancora problema. Al nostro Venerabile esplode il fucile e miracolosamente ne esce indenne, solo gli rimarranno sul viso per parecchio tempo i segni della polvere da sparo. Ma i segni più profondi rimarranno nel suo animo, perché fu un grosso scossone spirituale.
Il secondo arriva nel 1771 con la nomina a parroco a Castelfidardo (AN). Anche se aveva profuso ogni sforzo nello studio, capiva che la sua vocazione era quella di pastore d’anime e non quella di professore di teologia. L’esperienza di parroco fa maturare in lui la passione per l’apostolato e capisce con sempre più chiarezza che c’è bisogno di valenti predicatori a supporto di una pastorale ripetitiva e stanca.
Quando agli inizi del 1774 gli giunge la nomina a Predicatore Generale inizia per lui una attività apostolica senza sosta, che lo porterà a predicare in ogni parte d’Italia, nelle grandi città e nei piccoli paesi, nelle cattedrali o nelle chiese di campagna, senza distinzione. E a questo compito unirà, come è quasi logico, la cura di molti monasteri femminili.
Il successo della sua predicazione era certamente dovuto alla sua preparazione, al suo porgere la parola di Dio con tono pacato e suadente – come dicono molti testimoni -, ma soprattutto dal fatto che le parole erano forgiate da una intensa vita spirituale ed erano spesso accompagnate da fatti prodigiosi di conversioni e guarigioni.
Furono queste considerazioni, insieme all’affetto e alla venerazione che aveva per lui, che spinsero mons. Francesco D’Este, vescovo di Reggio Emilia, a giocare tutte le carte per avere il Menochio come suo ausiliare. Così, nel concistoro del 18 dicembre del 1795, Pio VI lo nominò vescovo titolare di Ippona e ausiliare del vescovo di Reggio Emilia. L’anno dopo però è espulso da Reggio ed è costretto a portarsi nelle Marche, dove si dedica anima e corpo al ministero episcopale nelle diocesi che non hanno più il loro vescovo: tiene ordinazioni, consacra chiese, conferisce cresime, predica e confessa. Ma la sua persona, impone rispetto e nessuno dei suoi avversari osa fermarlo.
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LA SANTINELLA DEL QUIRINALE
Dopo la morte di Pio VI il 1 dicembre 1799 a Venezia inizia il conclave. Il Menochio vi partecipa come Sacrista Pontificio. L’elezione di Pio VII segna ancora una svolta nella sua vita.
Anche il Papa, come era già successo con il vescovo di Reggio, rimane colpito da questo uomo dall’intensa vita spirituale ed apostolica. Così lo vuole accanto a sé, non solo come Sacrista, ma anche come suo Confessore. Inizia in questo modo un connubio che durerà quasi 25 anni, cioè fino alla morte, che colpirà ambedue nel 1823 a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro.
Ma a questo punto si manifesta la particolare vocazione alla quale Dio chiamò il nostro Venerabile. Mi riferisco ai cinque anni passati da solo nei sacri palazzi del Quirinale.
Nell’estate del 1809 Pio VII è condotto prigioniero in Francia. Dai documenti in nostro possesso risulta che anche il Menochio avrebbe dovuto seguire le sorti del Papa. Invece, -incredibilmente- l’ordine di Napoleone non viene eseguito e il nostro Venerabile rimane da solo nel palazzo papale, come una sentinella. Sembra echeggiare in questo fatto il brano evangelico in cui il Signore invita ad essere vigilanti:
“Siate come quei servi che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per
essere pronti ad aprirgli appena arriva e bussa” (Lc 12,35-38).
Sembra inverosimile e paradossale che quest’uomo abbia avuto il compito di rappresentare il Papa in un momento così tragico: unica sentinella in quello che era senza dubbio un desolato campo di battaglia. Per un certo tempo a Roma erano rimasti solo due vescovi: il Menochio e monsignor Benedetto Sinibaldi, molto anziano, malato e per un periodo pure rinchiuso nella prigione di Castel Sant’Angelo. Di fatto il Menochio fu l’unico vescovo dell’Urbe a esercitare il ministero.
Non solo.
Aveva la faccia tosta di girare per Roma, vestito da frate, e presiedere ordinazioni, celebrare cresime, confessare. E il tempo libero? Scriveva lettere ai suoi penitenti e faceva direzione spirituale con la penna in mano. Sarebbe da non credere, se non fosse storicamente accertato.
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SUPERIORE DI UNA NUOVA CONGREGAZIONE DI SUORE
Abbiamo già detto che il Menochio dimostrò sempre una cura particolare verso le suore, e verso di esse spese gran parte della sua attività pastorale. La formazione ricevuta nell’Ordine agostiniano gli dava certamente una sensibilità tale per cui la sua esperienza e la sua guida spirituale erano apprezzate e ricercate. In questo contesto si lega la fondazione delle Monache Adoratrici Perpetue del SS. Sacramento, nella quale Congregazione ha lasciato l’impronta della sua spiritualità, fino ad esprimerne una sorprendente paternità.
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TRACCIO BREVEMENTE LA STORIA DELLE ADORATRICI
Con il permesso di Pio VII, il 31 maggio 1807 Maria Maddalena dell’Incarnazione e tre sue consorelle, monache francescane nel Monastero di Ischia di Castro (Viterbo), lasciarono quella Comunità per fare il loro ingresso nel convento dei Santi Gioacchino e Anna alle Quattro Fontane in Roma, da poco lasciato e messo in vendita dai Padri Carmelitani Scalzi di Spagna. Esse vi si trasferirono dopo essere state ospiti per qualche mese in Via in Selci presso le monache agostiniane di S. Lucia.
La beata Maria Maddalena dell’Incarnazione aveva dato vita a una congregazione monastica che si dedicasse unicamente all’adorazione del santissimo sacramento e quindi le sue monache erano chiamate Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento o, dette popolarmente anche Sacramentine.
La stessa Suor Maria Maddalena dell’Incarnazione aveva redatto le Costituzioni che vennero approvate dal pontefice il 2 febbraio 1808.
A questo punto entra in gioco il Menochio. Infatti, proprio alle esperte e prudenti cure del nostro Venerabile, Pio VII volle affidare la nascente fondazione.
Lo stesso anno, però, i francesi occuparono Roma e sciolsero le comunità religiose, compresa quella della nostra beata, che dovette riparare in Toscana dove era nata. Comunque sappiamo che il Menochio prese a cuore la nuova istituzione e continuò a offrire il suo appoggio alla Madre Fondatrice anche durante l’esilio toscano e si prodigò per il suo ritorno a Roma perché fosse possibile rifondare l’Istituto.
Caduto Napoleone, il 31 maggio 1814 suor Maria Maddalena dell’Incarnazione ritornò a Roma con un gruppo di nuove compagne e si stabilì nella chiesa di Sant’Anna al Quirinale.
I primi passi della nuova Congregazione furono segnati da difficoltà interne ed esterne, ma i fatti che si succedevano, dicevano chiaramente che il Signore stava benedicendo questa fondazione con il fiorire di nuove vocazioni e con numerosi frutti di santità.
Intanto il Menochio, che continuava ad avere un interesse cordiale e fattivo verso la Madre fondatrice e le sue consorelle, nell’udienza a lui concessa il 5 giugno del 1817, fu nominato Superiore della Fondazione dall’anziano e stanco pontefice, affinché vigilasse con attenzione e amore, ma anche perché fosse un valido sotegno alla nuova Fondazione.
La decisione papale aveva certamente lo scopo di parare i colpi che provenivano da una parte del mondo ecclesiastico contrario alla nascita delle Adoratrici e nello stesso tempo fare da collante a quelle forze centrifughe che in ogni nuova fondazione vengono sempre a galla. Infatti, tra le opposizioni va annoverata soprattutto quella del card. Annibale Della Genga, vicario di Roma e futuro papa Leone XII, che vedeva con un certo sospetto la nuova fondazione.
La scelta del Menochio fu felicissima perché, avuto l’incarico papale, si mise al lavoro, iniziando un’opera paziente e amorevole per dare al nuovo Istituto non solo una buona legislazione, ma anche una solida formazione nello spirito della Regola agostiniana.
In quest’opera il nostro Venerabile, da buon agostiniano, non agì da solo, ma coinvolse diverse persone, una in particolare: Sr. M. Clotilde, poi divenuta M. Giuseppa dei SS. Cuori. Tra queste due persone di profonda spiritualità e di vita santa nacque una felice e profonda intesa.
Mi sia permesso di dire che, se a suor Maria Maddalena dell’Incarnazione sono stati concessi gli onori dell’altare come fondatrice, il Menochio e Madre Giuseppa si possono considerare coloro che, nel nascondimento e nel silenzio, hanno plasmato la vita e la spiritualità della prima generazione delle Adoratrici.
Di queste suore il Menochio scrive: “qualche sollievo in questa mia vecchiaia è l’aver Figlie spirituali così buone e sante, quale sono le Adoratrici di Gesù Sacramentato. Queste sono la mia consolazione e spero saranno il mio conforto in punto di morte, perché le veggo veramente innamorate di Gesù”.
Il Menochio seppe trasmettere e coniugare lo spirito della Regola Agostiniana con il carisma monastico della Adorazione perpetua. Ma seppe anche plasmare, intervenire, prevenire, correggere; in una parola coltivare questo piccolo seme che il Signore aveva piantato.
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GLI ESERCIZI E LA DIREZIONE SPIRITUALE
A questo punto è giocoforza parlare di un altro aspetto dell’attività del Menochio quella degli esercizi spirituali per le monache e quello di direttore spirituale. A questo proposito sono molto interessanti i 5 volumetti di diari e lettere curati da padre Trapp e Zannini-Masetti, editi nel 1968. In particolare il volume 3° riporta gli esercizi spirituali che Suor Marianna Teresa Tiraboschi riuscì a estorcere al Menochio Siamo nel 1781. Terminati gli Esercizi, la Tiraboschi chiese al Menochio di lasciarle il testo per farne una copia e controvoglia il Menochio lo concesse. [Per questo il titolo è chiamato corso completo tiraboschiano].
Gli Esercizi del Menochio sono importanti perché rivelano come il loro autore abbia predicato e come abbia pregato. Attraverso questi documenti si delinea una figura di maestro di spiritualità settecentesco [che sboccerà nella forma più adulta e matura negli anni successivi, soprattutto durante l’occupazione francese e la deportazione di Pio VII]. I suoi corsi d’esercizi spirituali, insieme ai diari e alle lettere, rappresentano una fonte preziosa, non soltanto per sondare la spiritualità dell’autore, ma anche per quanti vogliano approfondire certi aspetti della vita religiosa del secolo XVIII.
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I SUOI MAESTRI
Ora é quindi logico chiedersi dove il Menochio si sia formato e da quale fonte si sia procurato tanta ricchezza spirituale. Attinge naturalmente, oltre che alla Sacra Scrittura, a Sant’Agostino ed a San Francesco di Sales.
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ACCENNO BREVEMENTE A S. FRANCESCO DI SALES
Gli insegnamenti di S. Francesco di Sales (1567-1622) sono pervasi di comprensione e di dolcezza, permeati dalla ferma convinzione che a supporto delle azioni umane vi fosse sempre la provvidenziale presenza divina. Molti dei suoi insegnamenti sono infatti intrisi di misticismo e di nobile elevazione spirituale. É giustamente considerato un padre della spiritualità moderna, ha influenzato le maggiori figure del seicento e settecento europeo ed a ragione può essere considerato uno dei principali rappresentanti dell’umanesimo devoto. Fu un vescovo santo, innamorato della bellezza e della bontà di Dio. A lui si sono ispirate parecchie congregazioni, tra le quali la più celebre è indubbiamente la famiglia salesiana di San Giovanni Bosco. Nel viaggio a Parigi per l’incoronazione di Napoleone, il Menochio si fermò a Lione, dove visitò piamente la stanza ove morì San Francesco di Sales, il suo maestro spirituale (lett. 3, vol. IV).
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PADRE GIANNICOLA CHIESA
Ma negli esercizi del Menochio è visibilmente e concretamente presente l’agostiniano Padre Gian Nicola Chiesa, le cui opere si distinguono per la solidità della dottrina che, liberata da tutto il rigorismo del tempo, si integra con una conoscenza notevole del cuore umano e si esplica attraverso un metodo ed una esposizione piena di carità e di chiarezza. E’ una sintesi tra l’interiorità agostiniana e l’umanesimo devoto di San Francesco di Sales.
L’opera più importante del Chiesa, scritta per i religiosi, è “Il religioso in solitudine ovvero esercizi spirituali proposti ai religiosi agostiniani”, stampata a Napoli nel 1736: essa si compone di quaranta meditazioni suddivise in dieci giornate di ritiro da lui introdotte nella Congregazione di San Giovanni a Carbonara di Napoli[1]. Un simile schema è adottato anche dal Menochio nei suoi esercizi.
E’ chiaro, dunque, che il Menochio ed il Chiesa presentano singolarissime affinità di contenuto, ma anche di metodo: sul volumetto del Chiesa il Menochio si è formato (come si è formata una generazione di agostiniani). Nelle biblioteche e librerie agostiniane è uno dei volumi più comuni insieme alla Regola e alle Costituzioni.
Particolarmente interessante e significativo è un libretto autografo di esercizi del Menochio che si trova nella Biblioteca Angelica di Roma. Esso porta il titolo «Esercizi del P. Chiesa ridotti per le Religiose dall’Ill.mo e R.mo Mons. Giuseppe Menochio Sacrista di N. S. Papa Pio VII”.
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LA SUA ORIGINAL IMPOSTAZIONE
Il Menochio cercava di trovare preghiere semplici e dal contenuto profondo, che toccassero il cuore senza cadere nel sentimentalismo o nel retorico. E siccome tutto ciò non si poteva avere nell’enfatico e verboso Settecento, egli giorno e notte copiava e scriveva le sue scoperte per uso pastorale, soprattutto durante gli Esercizi che andava predicando alle suore. E poi il tutto confluiva in volumetti manoscritti nel piccolo formato del trentaduesimo.
La stessa cosa avveniva anche per gli esercizi spirituali. Lo si capisce bene attraverso la struttura dei pochi libretti autografi che ci sono pervenuti. Le carte non sono mai tutte dello stesso formato e ciò prova che il Menochio usava carte sciolte, e solo successivamente le legava tra loro. Il formato piccolo (il caratteristico 32°) permetteva al Menochio di avere materiale maneggevole per non appesantire il bagaglio nei suoi spostamenti. In questo modo gli esercizi prendevano forma piano piano o mutavano nel tempo con nuovi approfondimenti e nuove aggiunte.
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I CONTENUTI
L’impostazione della vita spirituale che si trova negli esercizio del Menochio è solida e concreta. E’ ostile ai progetti fantasiosi circa la vita religiosa, in linea con l’antica scuola spirituale agostiniana. Nel volume 3°, di cui abbiamo già parlato, insieme agli esercizi spirituali che Suor Marianna Teresa Tiraboschi riuscì ad avere dal Menochio, vengono riportate anche alcune paginette che il nostro venerabile scrive di suo pugno in occasione della vestizione della signora Francesca Masi il 29 ottobre 1781. Il titolo dice: Metodo per la Signora Francesca Masi / per fare con frutto i presenti spirituali Esercizi / e conoscere la sua vocazione allo / stato religioso». Non si tratta quindi di veri e propri esercizi spirituali, ma di consigli e indicazioni per vivere con frutto la professione religiosa. Queste poche pagine sintetizzano molto bene l’impostazione che il Menochio dava alla vita religiosa. Invita la Masi a fare tesoro delle condizioni concrete in cui vive e le proibisce costruzioni fantastiche di vita religiosa.
Anche se la digressione può sembrare ardita, non posso fare a meno di notare che il Menochio è sulla linea dell’antica scuola spirituale agostiniana. Giordano di Sassonia nella prima metà del XIV secolo ci racconta come fosse stato colpito da un certo personalismo nello zelo religioso: “ero solito fare molti digiuni per mio conto, oltre quelli comuni dell’Ordine“, finché una voce lo consigliò così: “Smetti il tuo digiunare e mangia insieme agli altri”. Dopodiché smise il “cattivo individualismo” e si adeguò al “rigore dell’Ordine” attraverso cui osservare la concreta volontà di Dio. Aggiunge poi: “ho saputo che alcuni, tentati in questo senso da suggestione diabolica, pur non avendo mai osservato i doveri meno gravosi del loro proprio Ordine, pretendevano di voler passare ad un Ordine di più stretta osservanza”.
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CONCLUDENDO
Vorrei terminare con una annotazione sulla spiritualità agostiniana che il Menochio ha vissuto e insegnato.
La spiritualità agostiniana punta al raggiungimento di Dio attraverso la perfetta vita comune. “Il primo motivo per cui vi siete riuniti -dice Agostino nella Regola- è che viviate unanimi nella casa e abbiate una sola anima e un sol cuore protesi verso Dio”.
Eppure -lo sappiamo bene- non si può stare insieme più di tanto, senza scontrarsi con un punto di vista diverso dal nostro, con una sensibilità diversa, in fondo senza litigare. Ma è qui l’eroismo della vita comune. Agostino dà anche un metro per misurare l’amore a Gesù: “Vi accorgerete di aver progredito nel suo amore quando incomincerete ad amare più le cose comuni che quelle proprie”.
Il Menochio, anche se l’autorità che ricopriva lo rendeva in certo modo indipendente e solitario, viveva insieme a una piccola comunità di fratelli agostiniani. Non mancava poi di scendere dal Quirinale per andare a S. Agostino in Campo Marzio a dire l’Ufficio e a condividere la vita con i confratelli di quel convento.
In questi giorni in cui la Chiesa è attraversata da scandali, nei quali appare chiaramente il prevalere degli interessi personali rispetto al bene comune, fa da contrappunto quest’uomo che nella vigna del Signore si distingue per il suo amore eroico “alle cose comuni più che alle proprie”.
- Mario Mattei
[1] L’opera è prededuta da una lettera del P. Nicola Antonio Schiaffinati (Generale dell’Ordine dal 1733 al 1739) nella quale si dice espressamente che il libro del Chiesa fu composto per suo ordine.