Pubblichiamo in versione integrale l’intervento che l’avvocato Chiara Mambelli ha tenuto il 10 aprile presso la Facoltà Teologica di Firenze in occasione del convegno “La mediazione, uno strumento per la soluzione dei conflitti dal forte valore etico sociale”
Una materia particolarmente delicata, in cui il conflitto presenta spesso radici profonde, è costituita dalle successioni ereditarie.
Desidero ripercorrere un caso che sembra di scuola, ma invece è reale.
Nel presente caso parte attivante della procedura è una signora, la quale, dopo la morte del padre, vedovo da lungo tempo, scopre che la casa di quest’ultimo è stata venduta cinque anni prima al fratello. La signora viene inoltre a conoscenza che dei risparmi del padre non è rimasto se non quanto appena sufficiente a coprire le spese funerarie.
La parte attivante chiama in mediazione il fratello evidenziando che il padre non era proprietario di altri beni immobili, asserendo la simulazione del contratto di compravendita e lamentando la lesione della sua quota di legittima. Il fratello aderisce alla procedura di mediazione.
La parte attivante si presenta in mediazione accompagnata dal marito e dal proprio legale; la parte chiamata arriva con l’avvocato da cui è assistita. Le parti entrano nella sala di mediazione e si siedono al tavolo senza rivolgersi neppure un cenno di saluto.
Appena terminato il discorso introduttivo, la signora inizia a parlare dicendo che è molto nervosa e che non dorme da diversi giorni sapendo di dover incontrare il fratello. Il marito le tiene la mano in segno di sostegno. Il fratello la guarda impassibile.
Nonostante la rassicurazione che le parti sarebbero state aiutate a confrontarsi serenamente sulle questioni che le vedevano coinvolte, la signora scoppia in un pianto dirotto e convulso. Il fratello continua a rimanere assolutamente impassibile.
Il mediatore si rende conto che la signora, in quel momento, ha bisogno di scaricare tutta la tensione accumulata, per cui lascia sfogare i singhiozzi senza manifestare alcun imbarazzo.
Appena la signora si ferma per asciugarsi le lacrime, il mediatore cerca di accogliere la fortissima emozione espressa e chiede alla signora di parlare di quanto era successo.
La signora inizia a raccontare la sua storia: rimasta senza la mamma quando era ancora bambina, aveva avuto col padre un rapporto difficile. Aveva sofferto molto perché il padre le preferiva in tutto il fratello. Questa situazione di disagio la aveva spinta a sposarsi giovanissima e ad allontanarsi dal padre e dal fratello. Quando anche il fratello si era sposato era rimasto con la moglie ed i figli nella casa paterna.
La signora sottolinea con particolare forza che, seppure aveva evitato contatti col padre e col fratello, ciò non giustificava l’essere stata diseredata, privata di tutto come se non facesse più parte della famiglia. O forse, e qui il dolore della signora è evidentissimo, questo era la conferma del fatto che lei non era niente per suo padre ed il padre la odiava.
Il fratello ora non appare più impassibile, sembra essere impaziente di parlare. Appena gli viene data la parola, dice che quanto la sorella pensa non corrisponde a verità. Il babbo ha chiesto della figlia fino all’ultimo, ma la sua malattia degenerativa lo aveva ridotto talmente male che non voleva essere visto in tali condizioni.
Il mediatore nota l’espressione di sorpresa della signora. Le sue convinzioni vengono messe in discussione dalle circostanze riferite.
Il fratello prosegue: sapeva la sorella della malattia del padre, dei suoi patimenti per tanti anni? Sapeva la sorella dei sacrifici e delle spese che erano stati sostenuti per assistere il padre? Sapeva dei costosi lavori di adeguamento a cui aveva dovuto sottoporre l’immobile per poterlo rendere idoneo alle esigenze della sempre più grave invalidità del padre?
I risparmi erano stati impiegati per la lunga assistenza domiciliare. I lavori nell’immobile erano stati pagati dal figlio di tasca propria. Un aiuto della sorella avrebbe fatto comodo sia dal punto di vista personale sia dal punto di vista economico. Ma il padre si era sempre opposto dicendo che chiamarla nel momento del bisogno avrebbe potuto offenderla.
Comincia ad emergere un ribaltamento della situazione: per il fratello è la sorella ad essere stata privilegiata, esentata da ogni peso assistenziale che invece il padre ha preteso come atto dovuto da lui, da sua moglie e dai suoi figli condizionandone la vita. Questa è la realtà dal punto di vista del fratello.
Gli occhi della signora sono ben asciutti ed attenti, puntati dritti sul fratello, come per scrutarne la sincerità. Inizia da parte della signora una lunga serie di domande volte a verificare quanto riferito dal fratello. Quando erano iniziati i primi sintomi della malattia del padre? Come era stato curato? Quali specialisti, quali terapie? Come si era fatto fronte alle sue esigenze? Di che lavori si era trattato?
Il fratello ha l’accortezza di rispondere per nulla infastidito dal fuoco di fila di quesiti. Forse percepisce che la sorella vuole non soltanto capire, ma anche, in qualche modo, recuperare un interessamento omesso per troppo tempo.
Le risposte del fratello sono precise, puntuali. Quando vede la sorella cominciare a prendere appunti sui fogli messi a disposizione delle parti sul tavolo della mediazione, tira fuori da una borsa una cartellina con la documentazione delle spese più consistenti.
La situazione è ormai sbloccata, adesso possono inserirsi i legali. Si passa ai numeri alle valutazioni. Vengono formulate delle ipotesi di soluzione.
Il mediatore si accorge che le parti hanno bisogno di riflettere con calma sulle prospettive emerse nell’incontro e viene concordato dalle parti un rinvio. Le parti optano per un rinvio breve, vogliono rivedersi presto.
All’incontro successivo il clima è completamente mutato, i legali si sono consultati tra loro ed hanno già pronta una soluzione che consiste nell’abbandono delle pretese da parte della signora contro il versamento di una somma di denaro, di importo inferiore alla richiesta quota di legittima, tenuto conto dei lavori effettuati nell’immobile e pagati dal fratello.
La parte chiamata è decisamente sollevata, perché vive con la famiglia nell’immobile la cui vendita era in contestazione.
La parte attivante è finalmente pacificata perché quei soldi rappresentano non tanto un beneficio economico quanto il riconoscimento di un’appartenenza al nucleo familiare originario.
Il contesto della mediazione ha consentito alle parti di affrontare il loro passato e creare le condizioni per guardare al futuro con animo liberato da rancori e gelosie.
Nel nostro difficile operato come mediatori, volto a favorire una vera e duratura ricomposizione del conflitto venutosi a creare, possiamo guardare a dei modelli, da cui trarre insegnamento e sostegno.
Santa Rita, invocata nei casi impossibili, con la sua vita ci ricorda di non perdere mai la speranza anche quando il conflitto è giunto alle conseguenze più estreme.
Santa Rita nasce verso il 1381 a Roccaporena, piccola frazione di Cascia (Perugia), da Antonio e Amata Lotti, i quali impongono alla loro unica figlia il nome di Margherita.
Cascia, posta tra il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa, era allora una fiorente repubblica, in cui le lotte, le vendette e gli omicidi tra guelfi e ghibellini, nobili e plebei, ricchi e poveri erano all’ordine del giorno. Le liti sfociavano in vere e proprie guerre tra famiglie. A tanti mali cercavano di porre rimedio i Padri Agostiniani dal pulpito della chiesa di S. Agostino, da loro eretta sulla rocca di Cascia nel 1300, e i Padri Francescani dal pulpito della chiesa trecentesca di S. Francesco.
La loro parola era sostenuta dai “pacieri” che “per amore di Dio e remissione dei peccati” cercavano di mettere pace tra le fazioni e le famiglie in lotta fuori dei processi civili o criminali.
Incaricati dal Comune, i “pacieri” svolgevano la loro azione con il compito di riportare la concordia nelle famiglie in lite tra loro. L’opera svolta dai pacieri si rivelava di grande utilità per tutta la comunità casciana.
La legge riconosceva le pacificazioni, che venivano scritte su un foglio pubblico. In esso si dava la notizia della pace avvenuta, si prometteva di evitare d’allora in poi le offese reciproche e si fissava la pena da pagare per chi violasse l’accordo raggiunto.
Nel secondo volume della Documentazione Ritiana Antica viene riportata per estratto la trascrizione di venti pergamene risalenti agli anni 1380 e 1381 conservate nell’Archivio Comunale di Cascia. Le pergamene contengono dei verbali di conciliazione di oltre seicento anni fa. Nonostante le omissioni possiamo, con una certa emozione, vedere l’esito dell’impegno dei pacieri. Esaminiamo uno di questi documenti:
1380 DIE 11 MENSIS AUGUSTI
Paulettus … de Cassia ed Littus de Cassia fecerunt pacem atque concordiam osculo pacis interveniente da quadam insultatione cum spada facta per dictum Littum contra supradictum Paulettum … primo amore omnipotentis dei et quia partes fuerunt confessae et contentae sibi fore integre satisfactum et quia sciebant se ad praedicta teneri et eis bene placuit … Item reficere et restituere promiserunt omnia et singula damna et expensas in iudicio et extra sub hypotheca omnium bonorum et poena centum librarum Franciae … Hoc pacto quod pax non sit fracta … Insuper iuraverunt … Johannis de Cassia fideiussit …
Actum Cassiae in palatio communis … praesentibus Domino Ioanne Logini, Ser Ioanne Ser Petri Egidii de Cassia testibus …
Et ego Petronius Domini Petri de Cassia publicus imperiali auctoritate notarius his omnibus interfui et rogatus scribere scripsi et publicavi et meum consuetum signum apposui.
Anzitutto osserviamo che l’accordo, redatto dal notaio alla presenza di testimoni, allora come adesso, non menziona il nome del paciere. Le ragioni che hanno condotto le parti all’accordo sono sintetizzate in alcune formule assai pregnanti. Il riferimento al profilo religioso e morale è affiancato all’esplicita soddisfazione per l’integrale risarcimento, alla consapevolezza di un aspetto normativo che le parti avrebbero dovuto osservare ed alla volontarietà nel reperimento della soluzione concordata. La pace e la concordia raggiunte dalle parti sono suggellate dal “bacio della pace”. Ma, in modo assai concreto, a tale gesto ed alla promessa di ristoro e restituzione di tutti e ciascun singolo danno nonché delle spese giudiziali e stragiudiziali, si accompagnano la garanzia ipotecaria su tutti i beni dell’obbligato e la previsione di una penale. Si aggiungono inoltre il giuramento delle parti e la fideiussione di un terzo. Possiamo notare le plurime cautele adottate per il rispetto dell’accordo con l’apposizione di clausole specifiche “quod pax non sit fracta”.
La lettura del documento ci consente di ritrovare quelle stesse istanze delle parti che emergono nelle attuali procedure di mediazione e che fanno parte del percorso per il reperimento dell’accordo. Proprio la constatazione della presenza di costanti che superano l’ambito temporale conduce a vedere la risoluzione dei conflitti con la duratura ricomposizione dei rapporti tra le parti come una esigenza propria dell’uomo di ogni epoca.
E’ assai singolare notare che la documentazione delle pacificazioni è limitata ai soli anni 1380 e 1381, proprio gli anni in cui si colloca la nascita di Santa Rita.
Antonio e Amata Lotti svolgevano questa funzione di “pacieri”. I genitori di Rita erano particolarmente stimati e gli statuti del libero comune di Cascia affidavano loro l’arduo incarico di pacificare i contendenti o almeno evitare stragi cruente tra famiglie in conflitto.
Santa Rita dunque si è formata osservando le modalità con cui i suoi genitori intervenivano nei conflitti, imparando le tecniche di ricomposizione, acquisendo capacità specifiche di mediazione. Occorre infatti notare che nelle pacificazioni è fondante l’aspetto di fede, ma, in considerazione della fragilità degli umani propositi, vengono inseriti elementi tecnico-giuridici molto precisi. I pacieri pertanto dovevano avere le competenze per affrontare con le parti tutte le complesse dinamiche inerenti al conflitto.
Santa Rita, seguendo da vicino l’operato dei suoi genitori, ha potuto verificare gli effetti sananti delle riconciliazioni riuscite e gli effetti devastanti delle lotte aperte.
Non è improbabile che Rita fin dalla fanciullezza si sia sentita attratta a vivere nell’esclusivo servizio di Dio in un monastero. I genitori, quando raggiunse i quattordici anni, le vogliono dare un marito. Rita sposa quindi Mancini Paolo di Ferdinando. Dal matrimonio nascono due figli, che Rita educa amorevolmente tanto con l’esercizio delle virtù cristiane quanto con l’insegnamento.
Per circa quindici anni Santa Rita trascorre una vita relativamente felice accanto al marito e ai suoi figli. Poi, il marito di Rita viene ucciso.
Accorsa con i figli sul luogo del delitto, con il cuore colmo di dolore, Rita, superato il primo smarrimento, esprime subito il suo perdono per gli assassini ed agisce sui figli per convincere anche loro a perdonare. Il suo eroico perdono e la sua azione di pace divengono un binomio inscindibile. Perdonare come Cristo perdonò sulla croce. Perdonare per interrompere la vendetta a catena.
Ad un anno dalla morte di Paolo, muoiono anche i figli, quasi uno dopo l’altro. Nel giro di un anno ha perso tutta la sua famiglia rimanendo sola. A 30 anni, ancora giovane, Rita sceglie di donarsi ai bisognosi. Ormai sola, sente riemergere fortemente la vocazione monacale. Si reca allora a Cascia, presso il monastero di Santa Maria Maddalena, dove, con grande umiltà, chiede di entrare come monaca agostiniana per vivere secondo la Regola di S. Agostino. Viene rifiutata, non tanto perché vedova, ma in quanto il marito era stato assassinato: troppo recente era l’omicidio e quindi ancor vivo l’odio e il desiderio di vendetta. Rita si sforza in ogni modo per realizzare una completa pacificazione tra i parenti di Paolo e i suoi assassini, che infine riesce a far incontrare. Ottenuta la riconciliazione della sua parentela con quella dell’uccisore del marito, Rita, nel 1407, entra dunque a Cascia nel monastero di Santa Maria Maddalena.
Santa Rita muore il 22 maggio 1447, viene beatificata da Urbano VIII in data 1.10.1527 e canonizzata da Leone XIII il 24.5.1900.
Va evidenziato che l’agire riconciliativo di Santa Rita si configura come peculiare in quanto alla fede profondissima, da cui è animato e supportato, si unisce la conoscenza delle tecniche di pacificazione apprese dall’operato dei suoi genitori. Per questo motivo la figura di Santa Rita si pone come modello particolare per i mediatori e per chi desideri favorire la riconciliazione nei contesti di disgregazione e di conflitto.
Anche la liturgia testimonia la peculiare vocazione di Santa Rita alla protezione degli operatori di pace. Nella Santa Messa in onore di Santa Rita è presente la seguente preghiera dei fedeli: “Nel ricordo dell’opera di pacificazione delle famiglie, messa in atto da Santa Rita, aiutaci o Padre, ad essere costruttori di pace e di riconciliazione”. La novena di Santa Rita, nel settimo giorno, è costituita dalla meditazione: “O santa Rita, che, seguendo l’esempio dei tuoi genitori, sei sempre vissuta in pace con Dio e hai operato per la pace nella tua famiglia e tra coloro che seguivano l’abitudine dell’odio e della vendetta e solo dopo aver persuaso al vicendevole perdono le famiglie divise dall’assassinio del tuo sposo, sei entrata in monastero: aiutaci a custodire la pace del Signore, a essere tolleranti ed in pace con tutti, affinchè la nostra preghiera e la nostra partecipazione al sacrificio Eucaristico siano gradite a Dio e ci ottengano anche quei beni che senza la pace interiore ed esteriore non si possono ricevere”.
Santa Rita, con il suo impegno coraggioso per fermare la vendetta e scegliere la pace, costituisce un esempio sia di santità sia di un ruolo determinante ed attivo nel campo sociale e della giustizia.
Il caso di conflitto esaminato mostra la matassa di nodi che il tempo, le incomprensioni e la mancanza di dialogo avevano creato in una famiglia. L’immagine del nodo è spesso utilizzata dalle parti in mediazione per esprimere una difficoltà presente in una situazione o per manifestare un ostacolo nel rapporto. Se lo svolgersi della relazione o il flusso della comunicazione possono essere rappresentati da un nastro, il nodo evidenzia l’elemento impeditivo di un corretto sviluppo. Più la formazione del nodo è risalente nel tempo e maggiore è la sua incidenza. Quando ai nodi si sommano altri nodi è sempre più difficoltoso ritrovare gli estremi del nastro, i punti di riferimento per attuare un ripristino. Quando non si sa come “venire a capo” della questione, l’unica soluzione può sembrare quella di tagliare il nastro, di recidere il legame. La Beata Vergine con un Suo intervento miracoloso ci ha voluto insegnare che non c’è nodo che non possa, con il Suo materno aiuto, essere sciolto.
La devozione a “Maria che scioglie i nodi” nasce in Germania all’inizio del XVI seolo. Wolfgang Langenmantel e la moglie Sophie si sposano nel 1612, ma, dopo circa tre anni, il loro legame matrimoniale è logorato da incomprensioni e litigi. Prima della completa separazione, il nobile Wolfgang decide di recarsi a piedi al monastero dove risiede il padre gesuita Jacob Rem, conosciuto e stimato per la sua profondità spirituale. Il gesuita affida la grave situazione all’intercessione della Madonna. Durante il rito del matrimonio le mani degli sposi erano state unite con un nastro, come segno del legame indissolubile creato dal sacramento. A ogni discussione col marito Sophie aveva fatto un nodo sul nastro matrimoniale. Quello stesso nastro, pieno di nodi, viene consegnato al padre gesuita per una speciale preghiera. Padre Jacob, davanti al dipinto della Vergine della Neve presente nella cappella del monastero, prende il nastro e prega intensamente la Vergine Maria di sciogliere tutti i nodi che impediscono la pace tra gli sposi. A questo punto i nodi si sciolgono miracolosamente e il nastro assume nuovamente il colore bianco, candido e splendente che aveva il giorno del matrimonio tra Wolfgang e Sophie. Nel contempo la situazione degli sposi cambia fino alla riconciliazione. I coniugi, evitata la separazione, vivono in comunione fino alla fine dei loro giorni.
Il nipote di Wofgang e Sophie, divenuto canonico della chiesa di Sankt Peter am Perlach ad Augsburg (Augusta), commissiona una pala d’altare come ex voto per ricordare il matrimonio dei nonni salvato dall’intercessione della Vergine Maria. Attorno a questa Madonna nasce lentamente una devozione particolare: si inizia a ricorrere a Lei soprattutto per i problemi familiari.
Nel 1986 padre Jorge Maria Bergoglio, attuale Papa Francesco, si reca ad Augusta per completare la sua tesi di laurea sul teologo tedesco Romano Guardini. Durante il soggiorno, visitando la chiesa di Sankt Peter am Perlach, gestita dai suoi confratelli gesuiti, viene a conoscenza della devozione a Nostra Signora che scioglie i nodi e se ne innamora. Padre Bergoglio porta in Argentina alcune stampe della bella immagine di Maria che scioglie i nodi per riprodurla e farla conoscere in patria. Da Buenos Aires la devozione si diffonde rapidamente nell’America Latina. Da quando Bergoglio è diventato Papa questa devozione, che il Santo Padre ha contribuito a far conoscere, ha trovato diffusione in tutto il mondo. Oggi la novena è tradotta in otto lingue ed è distribuita in tutti i continenti.
Nei conflitti più ingarbugliati, in cui appare umanamente impossibile aprire prospettive di pacificazione perché i nodi del rancore, del risentimento, dell’orgoglio bloccano ogni iniziativa, dobbiamo sempre confidare nell’intervento dell’Amore di Dio che può risolvere i motivi di separazione tra gli uomini e rendere realizzabile la riconciliazione.
Avv. Chiara Mambelli
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