“La scelta del testo, che farà da base alla riflessione, è motivata dal titolo dell’incontro che unisce il versetto 5 del brano suddetto ai Romani con la celebre espressione degli Atti “erano un cuor solo e un’anima sola”.
Ma prima ancora di vedere questo brano della Sacra Scrittura, mi preme inquadrare e motivare il senso di questo incontro perché non rimanga un ascolto sterile. Lo faccio attraverso tre verbi : ascolto per…, vengo da…, torno per…Questo per collegare questo ascolto in un contesto reale, presente e, soprattutto per motivarlo e finalizzarlo ad un impegno concreto che ognuno deve prendere nella sua realtà locale e secondo le circostanze della propria vita.
La scelta di privilegiare il testo di Romani invece di quello molto più conosciuto e “frequentato” di Atti è motivata dalla densità e centralità di questa lettera, vera lettera di fuoco e purtroppo di…sangue! E’ stata definita la lettera delle grandi ore della Chiesa. Dall’altra parte la riflessione teologica di Agostino deve molto a Paolo, che il Vescovo d’ippona chiama l’Apostolo e alla cui autorità si rifà continuamente.
In questa lettera poi il capitolo 12 ha un’importanza fondamentale per la nostra vita cristiana per il carattere di sintesi matura e priva di polemica, e quindi equilibrata, che gli dà Paolo.Questa che è la parte parenetica della lettera presenta i caratteri del culto cristiano: il testo greco dice loghikè latreia, cioè non culto spirituale secondo la traduzione della Cei, ma semmai culto intellettuale-razionale. Infatti subito dopo parla del rinnovamento e della trasformazione della propria mente per acquisire veri criteri di discernimento. Quindi l’offerta di se stessi come “ostie viventi, sante e gradite a Dio”non si riferisce tanto alla nostra partecipazione alla liturgia o alle pratiche di pietà, anche se non le esclude, ma ad una metamorfosi (questo è il verbo che ricalca l’originale greco) delle nostre menti. Possiamo dire, con una certa approssimazione, che gli menti equivale al concetto biblico di “cuore”, perchè, come quello , indica non tanto la sede dei sentimenti ma il centro decisionale dell’uomo. In questo modo San Paolo fa di tutta l’esistenza del credente un offerta , una liturgia vivente che invita i battezzati a consacrare a Dio l’intera esistenza. Quello che viene detto sacerdozio comune dei battezzati, che in quanto laici sono chiamati alla trasformazione delle realtà terrene nello spirito del Vangelo (cfr. Gaudium et Spes).
L’altra linea di riflessione, che caratterizza questo brano è proprio il binomio molti-uno. pur essendo molti (e rimanendolo in un certo qual senso) siete uno solo. la realtà della comunione ecclesiale si trova nell’equilibrio di questi due poli. Se togliamo l’unità abbiamo il particolarismo e il protagonismo fine a se stesso, invece senza la molteplicità dei carismi avremo l’omologazione avvilente ed infeconda. La stessa creazione vive di questa tensione armonica, in cui le differenze si armonizzano e si sostengono nella globalità. Questa concezione era già tipica della classicità e ne fa fede le parole greca e latina con cui si indica il mondo: Kosmos, bellezza armonica e uni-versus, molteplicità rivolta all’unità.
Nel testo di riferimento per le fraternità laicali, nella parte sulla spiritualità agostiniana si portano due immagini utilizzate per parlare del mistero della Chiesa: il Christus totus e lo Sposo e la sposa. Io però voglio solo accennare a ciò che è centro di unità e di attività del Corpo Mistico. lo Spirito Santo. E’ lo Spirito che unisce i molti nell’unità, ad immagine del mistero della Trinità e che vivifica il Corpo della Chiesa con la molteplicità dei carismi.
Per finire…in concreto, se le nostre realtà laicali vivono un’unità senza molteplicità diventono dei Club esclusivi, in cui si entra solo perchè abbiamo stessa mentalità e stessi interessi. Se al contrario la molteplicità non è a favore e per l’unità siamo tanti galli in un pollaio, dove i protagonismi e gli antagonismi finiscono per snaturare completamente il senso del nostro impegno.
E allora partecipiamo alle realtà laicali da “laici”, e non da preti, frati-suore mancati, offrendo noi stessi nella trasformazione della nostra mentalità e nella consacrazione a Dio delle realtà terrene
Sr Elisabetta Tarchi
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