Da Benedetto a Francesco |
Elementi agostiniani per un laicato agostiniano
Introduzione
La terra umbra favorisce la collocazione del tema che può muovere da origini remote: San Benedetto, fondatore del sistema abbaziale, vive il primo medioevo dominato dai barbari e nel quale i cristiani devono difendere il loro stato e fortificarsi in autonomia che resista al paganesimo esterno che attacca e rischia di distruggere il cristianesimo classico. Con lui la chiesa vive il tempo dei barbari e non può permettersi di spargersi nel mondo, ma deve essere chiusa in difesa.
San Francesco opera la rivoluzione mendicante, adeguata al nuovo mondo urbanistico. La chiesa è ancora chiusa nelle abbazie quando ai barbari si sono sostituiti i comuni, ci sono commerci e scambi di civiltà e c’è bisogno di chi vada ad annunciare il Vangelo. Francesco crede nella provvidenza, spinge i suoi a chiedere l’elemosina per non dover essere autonomi ma poter stare tra la gente.
Ai giorni nostri, vediamo la rapida trasformazione della prassi della percezione e dell’esercizio del papato fino al clamoroso e inaudito atto di rinuncia di papa Benedetto XVI, esplicita dichiarazione di inadeguatezza alle esigenze di oggi. Un papa dal sapore tradizionalista che opera la rivoluzione inaudita di una rinuncia spontanea al soglio. Comprende infatti che la chiesa ha bisogno di una svolta e comprende che lui, nella sua vecchiaia, non può darla.
Papa Francesco attua repentinamente un cambiamento sconvolgente, abbattendo ogni barriera diplomatica e avvicinando il mondo urbano, incontrandolo dov’è e com’è per dialogare in posizione alla pari se non di inferiorità, da “mendicante”. Apre le paratie del rigore magisteriale alla necessità dell’incontro con i lontani. La Chiesa non può non ripensarsi a riguardo e interrogarsi su nuovi atteggiamenti da assumere e vecchi retaggi da rimuovere. Fortemente si avverte l’esigenza di rinunciare a vecchie e tradizionali sicurezze che non reggono più, per incontrare la persona laddove essa si lascia incontrare e non dove dovrebbe trovarsi.
Gli agostiniani in questo quadro sommario non possono dimenticare di avere le braccia larghe, ossia che la loro storia abbraccia da prima di Benedetto – che nasce cinquant’anni dopo la morte di Agostino – a dopo Francesco – che fonda il suo “Ordine” cinquant’anni e più prima della fondazione dell’Ordine Agostiniano. L’identità agostiniana porta in sé la duplice caratteristica di un’interiorità che fronteggia la dispersione e rafforza la fede contro le corrosioni del paganesimo e un’apertura comunitaria che obbliga a lasciare le proprie sicurezze per incontrare l’altro nella sua unicità, specificità, diversità. Gli agostiniani sono chiamati a ritrovare se stessi abitando la propria interiorità e pure sono chiamati da ordine mendicante ad evangelizzare.
Il laicato in questo quadro viene interpellato? A prima vista papa Francesco ha più incidenza all’interno delle strutture ecclesiastiche che non sul popolo, che si è scoperto tanto più vicino al papa quanto più era lontano dalla fede! Ma è così? Dobbiamo ripensare il modo di essere e di proporsi del laicato cattolico impegnato?
Il titolo della conferenza ha troppi “agostiniani” per i miei gusti: il primo elemento agostiniano è l’anelito a essere chiesa evitando eccessive caratterizzazioni. Sant’Agostino non ha voluto un laicato agostiniano come non ha voluto un Ordine “agostiniano”. Se oggi un fondatore vuole iniziare un’esperienza nuova di spiritualità sente l’esigenza di dare una caratteristica, un “carisma” nuovo. Sant’Agostino non aveva questa esigenza, ma semplicemente ha visto l’esperienza di monaci che vivevano in vita comune e ha voluto riprendere ed estendere questa esperienza, senza alcuna intenzione di connotarla con qualche caratteristica peculiare. Poi la sua storia ha certamente sostanziato un’identità propria all’esperienza da lui iniziata, ma senza mai la volontà esplicita di fondare una forma particolare di vita cristiana. Così dobbiamo ricordarci che il primo elemento di carisma agostiniano è quello di essere semplicemente chiesa, senza voler connotare con troppa specificità. A tal proposito ricordo, e qualcuno di voi certamente ricorderà, la relazione che fece nel 2006 circa P. Gianfranco Casagrande a questa consulta di laici agostiniani, nella quale sottolineò l’importanza per un agostiniano di non volersi troppo identificare. E poi ogni relatore cui è affidato il tema delle caratteristiche del laicato agostiniano direbbe cose importanti dal suo punto di vista, e non è detto che i temi calcati da uno sarebbero gli stessi sottolineati da un altro. Bisogna fare una scelta e io personalmente vi offro la mia visione di elementi agostiniani per un laicato agostiniano.
Dunque, in fin dei conti, non è agostiniano sottolineare troppo lo specifico agostiniano. Sant’Agostino non intendeva fondare un laicato agostiniano e neppure un Ordine Agostiniano. Non dobbiamo tradirlo! Eppure pur non intendendolo fare lo ha di fatto realizzato e ne possiamo desumere alcune caratteristiche “a ritroso”.
Vorrei cominciare dal tema in cui vedo maggior sproporzione tra l’accento dato da Agostino e la sua rarefazione nella nostra predicazione. Se parliamo di laicato, non è secondario muovere la riflessione dalla nostra condizione umana.
Confessione
1. Siamo tutti peccatori
La coscienza d’essere peccatori deve essere il primo elemento cristiano e specificamente agostiniano. Mi dispiace prendere le mosse partendo da un dato che sembra così negativo e pessimista, ma mi sembra che sia quello in cui c’è più sproporzione tra l’insistenza di Agostino e la trascuratezza nella nostra predicazione.
«Dio mandò suo figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli». «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per usare a tutti misericordia».
Agostino è singolarmente drastico nell’affermare che in nessuno di noi si può trovare sufficiente bontà. Parlando dello scisma donatista, di persone che non riconoscevano degno il battesimo cattolico e sostenevano la necessità di impartire il loro battesimo amministrato da loro che si ritenevano persone pure, Agostino sostiene con forza l’unico battesimo che salva perché è Cristo che lo impartisce. «Non mi interessa il ministro, io bado al giudice» Gv 5,13. È Cristo che agisce nel ministro.
Al di fuori di esso non c’è salvezza perché nessuno si salva da solo. Badiamo che la nozione di salvezza è alquanto fuori moda al giorno d’oggi. Parliamo molto di “comportarsi bene” ma non abbiamo chiara coscienza della necessità d’essere salvati.
In Gv, 11,1. Nessuno che sia carico di peccati, potrà vedere il regno dei cieli; poiché non regnerà con Cristo se non chi ha ottenuto la remissione dei peccati; e i peccati non sono rimessi se non a chi rinasce da acqua e Spirito Santo. Ma badiamo al senso di ogni parola; così gli indolenti vedranno con quanta sollecitudine bisogna affrettarsi a deporre il carico. Se avessero sulle spalle una soma pesante, come pietre o legna, o anche un carico prezioso, come frumento, vino o denaro, andrebbero di corsa a scaricarsi. Portano il carico dei loro peccati, e vanno così lenti! E’ necessario correre a deporre un carico che opprime e sommerge.
Se Gesù è il salvatore, vuol dire che noi siamo bisognosi di salvezza. Vuol dire che se non interviene qualcuno andiamo a perderci, a morire. La nostra condizione è scomoda ed è scomodo per un relatore dire queste cose, che indulgono assai facilmente al sospetto di pessimismo. Siamo a rischio e bisognosi di salvezza, perché siamo peccatori.
In Gv 12,13. Il giudizio, poi, è questo: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Fratelli miei, chi il Signore ha trovato che avesse al suo attivo opere buone? Nessuno. Ha trovato solo opere cattive. Come hanno potuto, allora, taluni operare la verità e venire alla luce? Così infatti prosegue il Vangelo: Chi, invece, opera la verità, viene alla luce, affinché sia manifesto che le sue opere sono state fatte in Dio (Gv 3, 19 21). Come mai alcuni hanno operato in modo tale da poter venire alla luce, cioè a Cristo, mentre altri hanno amato le tenebre?
Se è vero, infatti, che il Signore ha trovato tutti peccatori e tutti deve guarire dal peccato, e che il serpente in cui fu prefigurata la morte del Signore guarisce quanti erano stati morsicati; se è vero che a causa del morso d’un serpente fu innalzato il serpente, cioè morì il Signore per gli uomini mortali che egli aveva trovato peccatori, in che senso bisogna intendere la frase: E’ questa la ragione del giudizio: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie? Che significa? Chi aveva al proprio attivo delle opere buone? Non sei forse venuto, o Signore, per giustificare gli empi? Se non che tu dici: Hanno amato più le tenebre che la luce. E’ questo che ha voluto far risaltare.
Molti hanno amato i loro peccati, e molti hanno confessato i loro peccati. Chi riconosce i propri peccati e li condanna, è già d’accordo con Dio. Dio condanna i tuoi peccati; e se anche tu li condanni, ti unisci a Dio. L’uomo e il peccatore sono due cose distinte: l’uomo è opera di Dio, il peccatore è opera tua, o uomo. Distruggi ciò che tu hai fatto, affinché Dio salvi ciò che egli ha fatto. E’ necessario che tu detesti in te l’opera tua e ami in te l’opera di Dio. Quando comincia a dispiacerti ciò che hai fatto, allora cominciano le tue opere buone, perché condanni le tue opere cattive. Le opere buone cominciano col riconoscimento delle opere cattive. Operi la verità, e così vieni alla luce. Cosa intendo dire dicendo: operi la verità? Intendo dire che non inganni te stesso, non ti blandisci, non ti lusinghi; non dici che sei giusto mentre sei colpevole. Allora cominci a operare la verità, allora vieni alla luce, affinché sia manifesto che le tue opere sono state fatte in Dio. E infatti il tuo peccato, che ti è dispiaciuto, non ti sarebbe dispiaciuto se Dio non ti avesse illuminato e se la sua verità non te l’avesse manifestato. Ma chi, dopo essere stato redarguito, continua ad amare i suoi peccati, odia la luce che lo redarguisce, e la fugge, affinché non gli vengano rinfacciate le sue opere cattive che egli ama. Chi, invece, opera la verità, condanna in se stesso le sue azioni cattive; non si risparmia, non si perdona, affinché Dio gli perdoni. Egli stesso riconosce ciò che vuole gli sia da Dio perdonato, e in tal modo viene alla luce, e la ringrazia d’avergli mostrato ciò che in se stesso doveva odiare. Dice a Dio: Distogli la tua faccia dai miei peccati. Ma con quale faccia direbbe così, se non aggiungesse: poiché io riconosco la mia colpa, e il mio peccato è sempre davanti a me? (Sal 50, 11 5). Sia davanti a te il tuo peccato, se vuoi che non sia davanti a Dio. Se invece ti getterai il tuo peccato dietro le spalle, Dio te lo rimetterà davanti agli occhi; e te lo rimetterà davanti agli occhi quando il pentimento non potrà più dare alcun frutto
2. La coscienza d’essere peccatori
Dunque il primo elemento è la nostra condizione ineludibile di essere peccatori e la prima opera buona che possiamo compiere è la presa di coscienza di questo dato. Agostino è molto insistente su questo punto, tanto da essere accusato da molti commentatori di essere pessimista. Non è così, ma questo punto non è piacevole!
E il guaio peggiore per noi è che non solo siamo invischiati a tal punto nel peccato da non poterne uscire da soli, ma non assumendo questa consapevolezza non desideriamo essere salvati e preferiamo involtolarci nel nostro peccato, fingendoci sani per non chiedere aiuto al medico.
L’uomo, infatti, era malato, ma non voleva essere guarito, e si vantava d’essere in buona salute per non farsi curare. E’ stata mandata la legge, che lo ha legato; e l’uomo allora si è scoperto colpevole e ha cominciato a reagire. Viene il Signore e, per guarirlo, somministra all’uomo delle medicine talvolta amare e aspre; dice al malato: accetta, sopporta, non amare il mondo, porta pazienza, lasciati curare col fuoco della continenza, accetta per le tue ferite il ferro della persecuzione. Eri spaventato, benché tu fossi legato. Ed ecco che il Signore, lui che era libero e non era in alcun modo legato, ha bevuto per primo la medicina che porge a te; per primo egli ha sofferto per consolarti, come per dirti: ciò che tu temi di soffrire per te, lo soffro prima io per te. Questa è grazia, una grande grazia! Chi potrà degnamente celebrarla?
Ma non siamo “peccato”, siamo cosa buona segnata dal peccato. Nasciamo in un’aria che è spiritualmente inquinata, il nostro essere peccatori non è esclusivamente elemento di colpa personale, ma è presa d’atto che la vita che viviamo è segnata dalla tendenza al peccato. Ciò non significa enfatizzare il pessimismo ma esaltare la grandezza della redenzione. Questo è un punto significativo del cristocentrismo agostiniano.
3. Il gemito che si fa preghiera
Da qui ad un altro passaggio che rischia di far apparire fuori moda Agostino: non solo enfatizza l’essere peccatori, ma l’essere nella tristezza. È lo Spirito Santo che ci insegna a gemere, mentre oggi si sottolinea tanto la gioia del cristiano. Non il gemito terreno, quello del corvo, ma il gemito della colomba, per amore di Dio.
Non geme quindi lo Spirito Santo in sé e presso di sé, in quella Trinità, in quella beatitudine, in quella eterna essenza; ma è in noi che geme, perché ci fa gemere. Né è cosa da poco che lo Spirito Santo ci insegni a gemere: è così che ci fa sentire pellegrini quaggiù e ci insegna a sospirare verso la patria; e questo desiderio ci fa gemere. Chi si trova bene in questo mondo, o piuttosto crede di starvi bene, chi si diletta nei piaceri della carne, nell’abbondanza dei beni temporali e in una felicità illusoria, costui ha la voce del corvo; e il corvo gracchia, non geme. Chi, invece, sente l’oppressione di questa vita mortale, e sa di essere esule dal Signore (2 Cor 5, 6), e di non possedere ancora quella perpetua beatitudine che ci è stata promessa, ma di possederla solo nella speranza, in attesa di averla nella realtà piena, quando il Signore, che prima venne a noi occulto nell’umiltà, verrà manifestando la sua gloria: colui che sa tutto questo, geme. E finché geme per questo motivo, il suo gemito è buono: è lo Spirito che gli ha insegnato a gemere, è dalla colomba che ha imparato a gemere. Molti, infatti, gemono a causa dell’infelicità terrena, o perché bersagliati dalla sventura, o perché afflitti da malattie, o perché incarcerati, incatenati, sbattuti dai flutti del mare, circondati dalle insidie dei nemici; per tutti questi motivi gemono. Ma non gemono, costoro, del gemito della colomba, non gemono per amore di Dio, non gemono nello Spirito. Perciò, appena liberati da queste sventure, alzano grida di gioia, dimostrando così di essere corvi, non colombe.
Personalmente la caratteristica che più mi ha invogliato a far parte dell’Ordine Agostiniano è la visione dell’inquietudine come fattore positivo che muove l’animo a cercare il meglio.
L’uomo era incapace di innalzarsi a Dio, ma Dio ha voluto abbassarsi all’uomo. Ecco che la desolazione per la condizione dell’uomo di cui è doloroso prendere coscienza si fa consolazione per la benignità del salvatore. La tristezza si fa invocazione che dona la pace. E la preghiera non ha bisogno di “tecniche” ma di cuore.
In Gv 10,1. Avete sentito nel salmo il gemito del povero, le cui membra, sparse per tutta la terra, sono tribolate sino alla fine del mondo. Fate di tutto, fratelli miei, per essere uniti a queste membra, per far parte di esse. Tutte le tribolazioni sono destinate a passare. Guai ai gaudenti (cf. Lc 6, 25)! La Verità dice: Beati quelli che piangono, perché saranno consolati (Mt 5, 5). Dio si è fatto uomo; cosa diverrà l’uomo, se per lui Dio si è fatto uomo? Questa speranza ci consoli in ogni nostra tribolazione e tentazione di questa vita. Il nemico non cessa mai di perseguitarci, e se non infierisce apertamente, agisce insidiosamente…
Pregate senza esitazione, c’è chi ascolta: chi vi ascolta è dentro di voi. Non dovete levare gli occhi verso un determinato monte, non dovete levare lo sguardo alle stelle, al sole, alla luna. Non crediate di essere ascoltati se pregate rivolti al mare: dovete anzi detestare preghiere simili. Purifica piuttosto la stanza del tuo cuore; dovunque tu sia, dovunque tu preghi, è dentro di te colui che ti ascolta, dentro nel segreto, che il salmista chiama “seno” dicendo: La mia preghiera si ripercuoteva nel mio seno (Sal 34, 13). Colui che ti ascolta non è fuori di te. Non andare lontano, non levarti in alto come se tu dovessi raggiungerlo con le mani. Più t’innalzi, più rischi di cadere; se ti umili, egli ti si avvicinerà. Questo è il Signore Dio nostro, Verbo di Dio, Verbo fatto carne, Figlio del Padre, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, eccelso come Creatore e umile come Redentore; che ha camminato tra gli uomini, sopportando la debolezza umana, tenendo nascosta la potenza divina.
Ci avviciniamo così alla vera gioia, ma se riconosciamo la presenza di una certa mestizia in questo mondo. Le membra del povero sono tribolate in ogni parte del mondo. Questo bel passo ci dice anche come avvicinarci al medico: la preghiera, che non richiede pratiche esteriori particolari, perché chi ti ascolta è dentro di te.
Misericordia
1. Cristo unico salvatore
In Gv 12,11. Egli dunque prese sopra di sé la morte, e la inchiodò alla croce, e così i mortali vengono liberati dalla morte. Il Signore ricorda ciò che in figura avvenne presso gli antichi: E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell’uomo, affinché ognuno che crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna…
Il morso del serpente è letale, la morte del Signore è vitale. Si volge lo sguardo al serpente per immunizzarsi contro il serpente. Che significa ciò? Che si volge lo sguardo alla morte per debellare la morte. Ma alla morte di chi si volge lo sguardo? alla morte della vita, se così si può dire. E poiché si può dire, è meraviglioso dirlo. O non si dovrà dire ciò che si dovette fare?
Esiterò a dire ciò che il Signore si degnò di fare per me? Forse che Cristo non è la vita? Tuttavia Cristo è stato crocifisso. Cristo non è forse la vita? E tuttavia Cristo è morto. Ma nella morte di Cristo morì la morte, perché la vita, morta in lui, uccise la morte e la pienezza della vita inghiottì la morte. La morte fu assorbita nel corpo di Cristo…
Gesù si è fatto uomo per salvare la condizione dell’uomo, che era miseranda e necessitava di un intervento superiore. Agostino in tantissimi discorsi svela la sua contemplativa meraviglia per la sublime verità dell’incarnazione, orientata alla croce. A noi è richiesto appunto il passo unico del riconoscimento del bisogno di salvezza, basta questo perché faccia tutto lui.
In Gv, 12,14. Siate vigilanti finché è giorno; il giorno risplende; Cristo è il giorno. Egli è pronto a perdonare coloro che riconoscono la loro colpa; ma anche a punire quelli che si difendono ritenendosi giusti, quelli che credono di essere qualcosa mentre sono niente.
Chi cammina nel suo amore e nella sua misericordia, non si accontenta di liberarsi dai peccati gravi e mortali, quali sono il delitto, l’omicidio, il furto, l’adulterio; ma opera la verità riconoscendo anche i peccati che si considerano meno gravi, come i peccati di lingua, di pensiero o d’intemperanza nelle cose lecite, e viene alla luce compiendo opere degne. Anche i peccati meno gravi, se trascurati, proliferano e producono la morte. Sono piccole le gocce che riempiono i fiumi; sono piccoli i granelli di sabbia, ma se sono numerosi, pesano e schiacciano. Una piccola falla trascurata, che nella stiva della nave lascia entrare l’acqua a poco a poco, produce lo stesso effetto di un’ondata irrompente: continuando ad entrare poco alla volta, senza mai essere eliminata affonda la nave. E che significa eliminare, se non fare in modo con opere buone – gemendo, digiunando, facendo elemosine, perdonando – di non essere sommersi dai peccati?
Il cammino di questa vita è duro e irto di prove: quando le cose vanno bene non bisogna esaltarsi, quando vanno male non bisogna abbattersi. La felicità che il Signore ti concede in questa vita, è per consolarti, non per corromperti. E se in questa vita ti colpisce, lo fa per correggerti, non per perderti. Accetta il padre che ti corregge, se non vuoi provare il giudice che punisce. Son cose che vi diciamo tutti i giorni, e vanno ripetute spesso perché sono buone e fanno bene.
Possiamo perciò lodare al massimo grado la redenzione operata da Cristo solo se capiamo il dato radicale del nostro essere peccatori e assolutamente bisognosi di redenzione. Tutto è operato da Cristo. Enfatizzare il peccato è suscitare il controluce che fa risaltare la grazia di Cristo. La malattia è gravissima, ma c’è la medicina che il bravo medico ci porta, e sappiamo che la bravura del medico è dimostrata dalla gravità della malattia. Cristo è eccellente medico perché il nostro peccato è grave. Se siamo inquieti è perché cerchiamo la pace e non la raggiungiamo. Servono due passaggi: primo capire dov’è la vera gioia, secondo capire come poterla raggiungere. Molti filosofi hanno capito dov’è la felicità ma non hanno capito come raggiungerla. Miglior condizione per chi non ha capito perfettamente, ma rimane saldo sulla via che lo porta alla meta. Non abbandonerà la croce e la croce lo porterà.
In Gv 2,2. Osservando, dunque, che tutte queste cose sono mutevoli, che cos’è l’essere, se non ciò che trascende tutte le cose contingenti? Ma chi potrebbe concepirlo? O chi, quand’anche impegnasse a fondo le risorse della sua mente e riuscisse a concepire, come può, l’Essere stesso, potrà pervenire a ciò che in qualche modo con la sua mente avrà raggiunto? E’ come se uno vedesse da lontano la patria, e ci fosse di mezzo il mare: egli vede dove arrivare, ma non ha come arrivarvi. Così è di noi, che vogliamo giungere a quella stabilità dove ciò che è è, perché esso solo è sempre così com’è. E anche se già scorgiamo la meta da raggiungere, tuttavia c’è di mezzo il mare di questo secolo. Ed è già qualcosa conoscere la meta, poiché molti neppure riescono a vedere dove debbono andare. Ora, affinché avessimo anche il mezzo per andare, è venuto di là colui al quale noi si voleva andare. E che ha fatto? Ci ha procurato il legno con cui attraversare il mare. Nessuno, infatti, può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo. Anche se uno ha gli occhi malati, può attaccarsi al legno della croce. E chi non riesce a vedere da lontano la meta del suo cammino, non abbandoni la croce, e la croce lo porterà.
- Come vorrei, o miei fratelli, incidervi nel cuore questa verità! Se volete vivere un cristianesimo autentico, aderite profondamente al Cristo in ciò che egli si è fatto per noi, onde poter giungere a lui in ciò che è e che è sempre stato. E’ per questo che ci ha raggiunti, per farsi uomo per noi fino alla croce. Si è fatto uomo per noi, per poter così portare i deboli attraverso il mare di questo secolo e farli giungere in patria, dove non ci sarà più bisogno di nave, perché non ci sarà più alcun mare da attraversare. E’ meglio, quindi, non vedere con la mente ciò che egli è, e restare uniti alla croce di Cristo, piuttosto che vedere la divinità del Verbo e disprezzare la croce di Cristo. Meglio però di ogni cosa è riuscire, se possibile, a vedere dove si deve andare e tenersi stretti a colui che porta chi avanza. A questo giunsero le grandi menti di coloro che noi abbiamo chiamato monti, sui quali massimamente risplende la luce di giustizia: giunsero a capire e videro ciò che è.
Prendiamo ad icona la cassa di Rita: al centro è Cristo risorto, ai lati Rita e la Maddalena, due segni del beneficio della grazia di Cristo. Forse non tutti gli Ordini avrebbero pensato così la cassa di una grande santa.
Dunque, dal peccato alla salvezza operata da Cristo, passiamo alla misericordia. Elemento vessillo di papa Francesco. Leggiamo qualche passo da Misericordiæ vultus.
«dinanzi alla gravità del peccato Dio risponde con la pienezza del perdono».
MV 3. Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto un Giubileo Straordinario della Misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti.
L’Anno Santo si aprirà l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Concezione. Questa festa liturgica indica il modo dell’agire di Dio fin dai primordi della nostra storia. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio non ha voluto lasciare l’umanità sola e in balia del male. Per questo ha pensato e voluto Maria santa e immacolata nell’amore (cfr Ef 1,4), perché diventasse la Madre del Redentore dell’uomo. Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona.
Capire dunque di essere oggetto di misericordia è il primo movimento per poter poi essere strumento di misericordia. Ecco che ci avviciniamo allo specifico del compito del cristiano, direi in particolare del laico.
MV 9. Gesù afferma che la misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono delle offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere. Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici.
Questo è vero per tutti e il laico agostiniano ne deve fare un vessillo. Se ci dedichiamo per amore del prossimo alla sua edificazione ed evangelizzazione non è perché ci sentiamo e ci poniamo in atteggiamento di superiorità, ma perché abbiamo chiara coscienza d’essere stati perduti e ritrovati.
Apostolato
1. Lo zelo per le anime
In Gv 7,21 Dunque, siamo stati cercati perché potessimo essere ritrovati; ritrovati, possiamo parlare. Non andiamo in superbia, perché prima d’essere ritrovati eravamo andati perduti, e siamo stati cercati. E quelli che amiamo, allora, e che vogliamo guadagnare alla pace della Chiesa cattolica, non ci dicano più: Perché volete farlo? perché ci venite a cercare, se siamo peccatori? Appunto per questo vi cerchiamo, perché non vi perdiate; vi cerchiamo perché anche noi siamo stati cercati; vogliamo ritrovarvi, perché anche noi siamo stati ritrovati.
Agostino parla a chi non ne vuole sapere, e ce ne sono così tanti anche oggi. Non vogliono ascoltarci, ma proprio per questo dobbiamo sentire ancor più la responsabilità di cercarli e ritrovarli.
C’erano tante persone che non andavano a messa per preferire gli spettacoli pagani, e oggi preferiscono lo stadio o il centro commerciale. Agostino così esorta i suoi a riguardo:
In gv 7,24: Quanto a noi, o fratelli, dopo che abbiamo partecipato al banchetto della salvezza, cerchiamo di trascorrere solennemente il resto del giorno del Signore nella letizia dello spirito, preferendo le gioie della verità ai vani divertimenti.
Se inorridiamo per essi, dobbiamo addolorarci;
se ce ne addoloriamo, dobbiamo pregare per loro.
Se pregheremo, saremo esauditi; se saremo esauditi, avremo guadagnato anche loro.
Oggi ci sono problematiche che solo un laico può affrontare. Ad esempio dilaga la teoria gender e de ne vuole imporre l’educazione nelle scuole. In campi come questi solo il laico potrà influire ed esigere un’educazione corrispondente ai valori del vangelo e dell’umanità.
Il laico agostiniano deve essere pieno di questo santo zelo. Ascoltiamo come Agostino commenta la cacciata dei mercanti dal tempio – iconografia presente in molte chiese di ordini mendicanti – ed esorta il cristiano a vivere lo stesso zelo e mai disinteressarsi del prossimo in nome di un falso rispetto per lui.
In Gv 10, 9. I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo della tua casa mi divora (Gv 2, 17; Sal 68, 10); per il fatto che il Signore cacciò costoro dal tempio, mosso dallo zelo della casa di Dio. Fratelli, ogni cristiano, essendo membro di Cristo, deve essere divorato dallo zelo per la casa di Dio. E chi è divorato dallo zelo per la casa di Dio? Colui che quando vede che qualcosa non va, si sforza di correggerla, cerca di rimediarvi, non si dà pace: se non trova rimedio, sopporta e geme. Il grano non può essere battuto fuori dell’aia, e perciò deve sopportare la paglia finché non ne sarà liberato, e allora entrerà nel granaio. Tu, che sei grano, non farti battere fuori dell’aia, prima di entrare nel granaio, se non vuoi che ti portino via gli uccelli prima d’essere raccolto nel granaio. Gli uccelli del cielo, che sono le potenze dell’aria, sono sempre pronti a portar via qualcosa dall’aia, ma non possono portar via se non ciò che è stato battuto fuori di essa. Ti divori, dunque, lo zelo per la casa di Dio. Ogni cristiano sia divorato dallo zelo per la casa di Dio, per quella casa di Dio di cui egli fa parte. Nessuna è tanto casa tua quanto quella dove tu trovi la salute eterna. Nella tua casa entri per riposarti dalla fatica di ogni giorno: nella casa di Dio entri per trovarvi il riposo eterno. Ora, se tu ti preoccupi che nella tua casa non ci sia niente fuori posto, sopporterai, potendolo impedire, il male che tu vedessi nella casa di Dio, dove trovi la salute e il riposo senza fine? Ad esempio, vedi un fratello correre agli spettacoli? Fermalo, ammoniscilo, crucciati, se è vero che lo zelo per la casa di Dio ti divora. Vedi altri correre ad ubriacarsi, o intenti a fare nel luogo sacro ciò che è sconveniente in qualsiasi luogo? Fa’ di tutto per impedirlo, trattieni quanti puoi, affronta quanti puoi, blandisci chi puoi, ma non darti pace. E’ un amico? usa le buone maniere; è tua moglie? richiamala con grande energia; è la tua serva? ricorri anche alle punizioni corporali. Fa’ tutto ciò che puoi, a seconda delle persone di cui sei responsabile, e sarà vero anche per te: Lo zelo per la tua casa mi divora. Se invece sei apatico e indolente, se pensi solo a te stesso e non ti preoccupi degli altri, e dici in cuor tuo: Non tocca a me preoccuparmi di peccati altrui; mi basta pensare alla mia anima e conservarla integra per Dio: ebbene, non ti viene in mente quel servitore che nascose il suo talento e non volle trafficarlo (cf. Mt 25, 25-30)? Forse che venne accusato di averlo perduto, o non piuttosto di averlo conservato senza farlo fruttare? Sicché, fratelli miei, tenendo conto di questo ammonimento, non vi date pace. Voglio darvi un consiglio; ve lo dia, anzi, colui che è dentro di voi, perché se anche ve lo dà per mezzo mio è sempre lui a darvelo. Ciascuno di voi sa come deve comportarsi in casa propria, con l’amico, con l’inquilino, col cliente, con chi è superiore e con chi è inferiore; voi conoscete in concreto le occasioni che Dio vi offre, come si serve di voi per aprire la porta alla sua parola; ebbene, non stancatevi di guadagnare anime a Cristo, poiché voi stessi da Cristo siete stati guadagnati.
Quest’ultima frase potrebbe essere il motto del laicato agostiniano.
2. Laicato e autorità
Agostino arriva a difendere anche un certo uso del potere in nome dell’unità della Chiesa.
In Gv 11,14. Si meravigliano che le autorità cristiane esercitano il loro potere contro i detestabili distruttori che dilaniano la Chiesa. Non dovrebbero dunque muoversi? E come renderebbero conto a Dio del loro potere? Ponga attenzione vostra Carità a ciò che dico: E’ compito dei cristiani adoperarsi per la pace della Chiesa loro madre, dalla quale spiritualmente sono nati.
Un aspetto assolutamente non trascurabile della tipicità agostiniana è l’amore all’unità e questo detta le regole del rapporto tra laicato e autorità ecclesiastica. Alla fine di questa relazione basti un accenno come apertura per una trattazione futura:
In Gv 6,3. Quando il Signore inviò lo Spirito Santo lo manifestò visibilmente in due modi: sotto forma di colomba e sotto forma di fuoco. Sotto forma di colomba, quando discese sul Signore appena battezzato; sotto forma di fuoco, quando discese sugli Apostoli riuniti insieme.
In un caso abbiamo visto la colomba discendere sopra il Signore, in un altro le lingue dividersi e posarsi sopra i discepoli riuniti: nel primo caso viene indicata la semplicità, nel secondo il fervore. Ci sono taluni, infatti, che si dicono semplici, e sono pigri: sono detti semplici, e sono invece indolenti.
Insomma, la colomba dice che quanti sono stati santificati dallo Spirito, devono essere senza inganno; il fuoco sta a indicare che la semplicità non dev’essere freddezza.
In Gv 6,4. Era dunque necessario che lo Spirito Santo discendesse sul Signore sotto forma di colomba perché comprenda ogni cristiano che, se ha lo Spirito Santo, deve essere semplice come la colomba: deve mantenere con i fratelli la pace vera, quella simboleggiata dal bacio della colomba. Esiste anche il bacio dei corvi, ma la loro pace è falsa, mentre quella della colomba è vera. Non chiunque dice: la pace sia con voi, è da ascoltare come colomba. Come si distingue il bacio del corvo dal bacio della colomba? Il corvo quando bacia dilania, mentre la colomba è inoffensiva per natura. Dove si dilania, il bacio non può essere simbolo di vera pace: la vera pace è solo quella che posseggono coloro che non dilaniano la Chiesa. I corvi si pascono di cadaveri, cosa che non fa la colomba: essa vive dei frutti della terra, il suo cibo è innocuo.
A conclusione mi piace leggervi questo brano che mi sembra riassuntivo del percorso tracciato:
In Gv 11,13. Benediciamo il Signore Dio nostro, che qui ci ha riuniti a letizia spirituale. Conserviamoci sempre nell’umiltà del cuore. e riponiamo nel Signore la nostra gioia. Non lasciamoci gonfiare per alcun successo temporale, e persuadiamoci che la nostra felicità avrà inizio solo quando le cose di quaggiù saranno passate. Tutta la nostra gioia adesso, o miei fratelli, sia nella speranza. Nessuna gioia di quaggiù ci trattenga nel nostro cammino. Tutta la nostra gioia sia nella speranza futura, tutto il nostro desiderio sia rivolto alla vita eterna. Ogni sospiro aneli al Cristo: lui solo sia desiderato, il più bello fra tutti, che amò noi, deformi, per farci belli. Solo dietro a lui corriamo, per lui sospiriamo, e i suoi servi che amano la pace non cessino di esclamare: Sia glorificato il Signore (Sal 34, 27)!
Sia glorificato il Signore!