Riportiamo la riflessione che P. Pasquale Cormio ha presentato a Torbellamonaca in occasione dell’incontro di formazione che è stato fatto lo scorso 6 ottobre, in preparazione alla Missione Popolare del prossimo ottobre. E questo perché gli incontri non vogliono dare rilevanza solo all’organizzazione, ma soprattutto alla preparazione personale e comunitaria, per potere essere più pronti nell’annuncio e nell’evangelizzazione.
In missione per una Chiesa estroversa
Oggi vengo a casa tua (cfr. Lc 19,5)
Dal Vangelo di Luca (19, 1-10): Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È andato ad alloggiare da un peccatore!”. Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Gesù gli rispose: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”.
Missione: voce del verbo “andare”, “uscire”, “seminare”
Entrato in Gerico, [Gesù] attraversava la città…
La missione invita ad un movimento. L’annuncio del Vangelo ha come scenario la strada e lungo la strada avvengono alcuni degli incontri di salvezza con il Signore: Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità (Mt 9,35). Gesù vuole che i discepoli seguano il suo esempio: Strada facendo predicate che il regno dei cieli è vicino (Mt 10,7). Egli si muove decisamente verso Gerusalemme e si fa incontrare da tutti coloro che sono disposti ad afferrare la grazia del suo passaggio. Negli Atti degli Apostoli i seguaci di Cristo saranno definiti come i discepoli della via.
La missione popolare ci rimette sulla via e ci spinge a cambiare il volto della comunità ecclesiale: non ripiegata su se stessa (introversa), ma rivolta all’esterno (estroversa).
«In questo momento di crisi non possiamo preoccuparci soltanto di noi stessi, chiuderci nella solitudine, nello scoraggiamento, nel senso di impotenza di fronte ai problemi. Questo è un pericolo: ci chiudiamo nella parrocchia, con gli amici, nel movimento, con coloro con i quali pensiamo le stesse cose… ma sapete che cosa succede? Quando la Chiesa diventa chiusa si ammala. Pensate ad una stanza chiusa per un anno; quando tu vai, c’è odore di umidità, ci sono tante cose che non vanno. Una Chiesa chiusa è una Chiesa ammalata. La Chiesa deve uscire da se stessa. Dove? Verso le periferie esistenziali, qualsiasi esse siano, ma uscire. Gesù ci dice: Andate per tutto il mondo! Andate! Predicate! Date testimonianza del Vangelo! (cfr. Mc 16,15). Ma che cosa succede se uno esce da se stesso? Può succedere quello che può capitare a tutti quelli che escono di casa e vanno per la strada: un incidente. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, incorsa in un incidente, che una Chiesa ammalata per chiusura! Uscite fuori, uscite!» (papa Francesco, Omelia di Pentecoste, 18 maggio 2013)
Il Papa insiste su questo aspetto: impariamo ad uscire da noi stessi, dalle nostre comunità “protette”, chiuse ermeticamente per andare incontro agli altri; muoviamoci noi per primi, andiamo verso i “lontani”, non solo coloro che sono tali per distanza geografica, ma quanti hanno affievolito e abbandonato la fede, e non sanno riconoscere la bellezza dell’esperienza cristiana:
«Dobbiamo “andare verso le periferie”, le periferie esistenziali. Tutte, dalla povertà fisica e reale alla povertà intellettuale, che è reale, pure. Tutte le periferie, tutti gli incroci dei cammini: andare là. E là seminare il seme del Vangelo, con la parola e con la testimonianza» (papa Francesco, Discorso ai partecipanti al Convegno Ecclesiale della diocesi di Roma, 17/06/2013).
La Missione: incontro che genera salvezza
Oggi la salvezza è entrata in questa casa…
Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto…
Ecco la buona notizia del vangelo, un annuncio di grande consolazione per tutti. In 1Tim 2,4 san Paolo ricorda al suo discepolo che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi. E la salvezza passa attraverso l’incontro con Gesù Cristo, morto e risorto (kerygma), il quale rivela il volto amorevole di Dio. La Chiesa si fa portavoce di questa salvezza con franchezza e con gioia.
«Dio, non esclude nessuno, né poveri né ricchi. Dio non si lascia condizionare dai nostri pregiudizi umani, ma vede in ognuno un’anima da salvare ed è attratto specialmente da quelle che sono giudicate perdute e che si considerano esse stesse tali. Gesù Cristo, incarnazione di Dio, ha dimostrato questa immensa misericordia, che non toglie nulla alla gravità del peccato, ma mira sempre a salvare il peccatore, ad offrirgli la possibilità di riscattarsi, di ricominciare da capo, di convertirsi» (papa Benedetto XVI).
La missione è il tempo giusto, favorevole, la chance che Gesù ci dà per poterlo incontrare e per divenire noi mediatori di questo incontro, perché altri rispondano al suo invito. Se da un lato Zaccheo cerca di vedere Gesù, corre avanti, sale su un sicomoro, dall’altro Gesù alza lo sguardo verso di lui e gli rivolge per primo la parola: Scendi subito, oggi devo fermarmi a casa tua. Prima che Zaccheo riesca a dire una parola, Gesù lo anticipa, prende l’iniziativa, lo cerca. Questo è importante per il nostro cammino di fede: prima di essere noi a cercare Dio, è Lui che cerca noi. Mentre tutti allontanano Zaccheo perché lo giudicano un peccatore, Gesù lo guarda, gli parla e si ferma a casa sua.
Questa è la salvezza, la “buona notizia” che può cambiare il mondo, che riaccende la speranza nel cuore dell’uomo, sanando le ferite che egli avverte in profondità a causa del peccato. Gesù Cristo ci guarda per primi. Ogni conversione è il risultato di due cammini che si incrociano: quello nostro e quello di Gesù; ma quello del Signore precede sempre il nostro.
Lo studioso ebraico Claude Montefiore (morto nel 1938) identificava la peculiarità del cristianesimo nei confronti del giudaismo proprio da questo aspetto: «Mentre le altre religioni descrivono l’uomo alla ricerca di Dio, il cristianesimo annuncia un Dio che cerca l’uomo. Gli ebrei credono che Dio è un Dio di amore e di perdono, e che accoglie liberamente un peccatore pentito, ma Gesù ha insegnato che Dio non aspetta il pentimento del peccatore, va a cercarlo per chiamarlo a sé».
Nel nostro impegno di missionari non possiamo trascurare questo particolare: chi guarda nel cuore delle persone è Cristo. Non possiamo né dobbiamo avere la pretesa di sostituirci a Lui; ma dimostrare l’umiltà e la docilità di riconoscere che è Lui ad operare in noi ed attraverso noi. Possiamo sperimentare quanto è vera la sua parola: Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi (Mt 10,20). Non dobbiamo preoccuparci di cosa diremo né di cosa fare; ma essere certi che egli saprà ispirare nel nostro cuore e nella nostra mente ciò che è opportuno per testimoniare il Vangelo.
Lo stile del missionario
Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco… piccolo di statura
È andato ad alloggiare da un peccatore!
Il brano ci educa ad un preciso stile comportamentale da assumere nella missione. L’evangelista Luca inizia a descrivere Zaccheo partendo dall’uomo, con un’attenzione alla sua esperienzapersonale, al limite, alla sua storia. Il nome, Zaccheo, che significa “puro”, “l’innocente”, è in chiaro contrasto con la sua vita pubblica e sociale: è un esattore di imposte a servizio del dominatore straniero. Il giudaismo al tempo di Gesù vedeva nella figura del pubblicano il prototipo del peccatore, in quanto ritenuto ladro di professione, colui che si arricchiva impoverendo la gente. In più Zaccheo appartiene alla categoria dei pubblicani con la qualifica più alta: è infatti capo dei pubblicani, in altri termini un uomo senza Dio, che vive solo per sé.
La folla è espressione di questo sentimento di disprezzo verso Zaccheo, dal momento che lo qualifica apertamente come un peccatore. Il giudizio negativo non ricade solo sull’esattore, ma anche su Gesù, che non sa prendere le distanze da gente simile, per la quale non vi è possibilità di redenzione. I peccatori, come Zaccheo, devono essere solo tenuti a distanza.
Il punto di vista dell’evangelista e quello della folla ci presentano due visioni di considerare il prossimo: dal primo emerge l’attenzione all’altro, dal secondo il disprezzo nei confronti del peccatore.
Gesù alzò lo sguardo e gli disse…
Ma qual è il punto di vista di Gesù? Dai Vangeli risalta l’indubbia predilezione di Gesù verso i pubblicani e i peccatori in genere. A Gesù sta a cuore l’incontro con la persona; il fatto che sia un peccatore, non è un limite, ma un’occasione per avvicinarla, per rivolgergli la parola, per un atto di amore. Gesù sorprende con il suo sguardo Zaccheo, arrampicato sul sicomoro, lo chiama e lo invita a scendere. Mai e poi mai Zaccheo pensava che sarebbe stato notato. Con ogni probabilità si aspettava di sentire un rimprovero, una condanna, invece si sente chiamare per nome. Gesù distingue l’uomo dalla folla, lo riconosce e lo chiama per nome. Prima del pubblicano, Gesù in Zaccheo vede la persona umana; guarda il suo cuore e interpella la sua parte migliore. Gesù sa che in ciascuno di noi, anche nel peccatore più ostinato, c’è una parte pura, non contaminata dal male, un pezzo di verità e di luce. È irriducibilmente fiducioso. La misericordia, infatti, ha bisogno sempre di speranza.
Agostino nel commentare questo incrocio di sguardi tra Cristo e il peccatore dice: «E il Signore guardò proprio Zaccheo. Visus est, et vidit: Fu visto e allora vide» (Agostino, serm. 174,4.4). Zaccheo avrebbe visto passare Gesù, anche se questi non avesse alzato gli occhi; ma non sarebbe stato quello un incontro. Avrebbe magari soddisfatto quel minimo di curiosità buona per cui era salito sull’albero, ma non sarebbe stato un incontro. «Siamo stati veduti perché potessimo vedere; siamo stati amati affinché potessimo amare. Il mio Dio, la sua misericordia mi precederà» (Agostino, serm. 174, 4.4). Per poter vedere, dobbiamo essere guardati; per poter amare, dobbiamo essere amati:
«Qui sta il punto: alcuni credono che la fede e la salvezza vengano col nostro sforzo di guardare, di cercare il Signore. Invece è il contrario: tu sei salvo quando il Signore ti cerca, quando Lui ti guarda e tu ti lasci guardare e cercare. Il Signore ti cerca per primo. E quando tu Lo trovi, capisci che Lui stava là guardandoti, ti aspettava Lui, per primo. Ecco la salvezza: Lui ti ama prima. E tu ti lasci amare. La salvezza è proprio questo incontro dove Lui opera per primo. Se non si dà questo incontro, non siamo salvi. Possiamo fare discorsi sulla salvezza. Inventare sistemi teologici rassicuranti, che trasformano Dio in un notaio e il suo amore gratuito in un atto dovuto a cui Lui sarebbe costretto dalla sua natura. Ma non entriamo mai nel popolo di Dio. Invece, quando guardi il Signore e ti accorgi con gratitudine che Lo guardi perché Lui ti sta guardando, vanno via tutti i pregiudizi intellettuali» (don Giacomo Tantardini).
Nel nostro cammino di missionari con quale sguardo vogliamo avvicinare chi è lontano, chi è nel peccato, chi sta sperimentando sulla propria pelle forme di emarginazione, frustrazioni, stadi di povertà, chi non ha fiducia né in Dio né nell’uomo, chi è reietto per la società…? Gesù ciinvita a guardare per primi, a rivolgere la nostra parola per amore, a chiamare per nome, a nutrire fiducia nell’uomo, a non giudicarlo dal suo peccato. Gesù non si ferma a considerare ciò che fa, ciò che ha, da dove viene Zaccheo, ma si interessa alla sua persona, è aperto al dialogo, usa misericordia, offre occasioni concrete di ripensamento e sceglie di andare da lui. Umanizzare le nostre relazioni, “provocare” l’incontro andando al di là dell’apparenza, condividere per conoscersi, investire su relazioni più vere e giuste è lo stile di vita del battezzato e in questo caso del missionario, anche se dovesse conoscere la sconfitta e il rifiuto!
«Il successo della missione dipende dall’intensità dell’amore… Abbiate un forte amore per le persone e le famiglie che incontrerete. La gente ha bisogno di amore, comprensione e perdono» (Giovanni Paolo II, Missione cittadina di Roma, anno 2000).
Proviamo anche noi missionari a guardare coloro che incontreremo con lo stesso sguardo di Cristo, che non vuol giudicare, ma amare: lo sguardo di chi nutre compassione, non di chi squadra e giudica, soffermandosi solo sulle proprie convinzioni.
Zaccheo cercava di vedere quale fosse Gesù…
Zaccheo desidera vedere Gesù. Forse inizialmente la sua ricerca può avere avuto a che fare con la curiosità, ma non possiamo escludere un desiderio più profondo, quella ricerca della felicità, della salvezza, del riscatto da una vita detestabile perché priva di amore: è questa la ricerca che contraddistingue l’uomo, non solo il credente. Zaccheo vuole vedere Gesù: lo vuole così tanto che questo desiderio attira l’attenzione di Gesù.
Il desiderio è l’inizio di tutto. Ogni cosa nella nostra vita inizia con il desiderio, dal momento che desideriamo ciò che amiamo. Sappiamo che Zaccheo amava il denaro, e per sua stessa ammissione siamo informati del fatto che non aveva avuto scrupoli nel rubarne agli altri. Zaccheo era ricco e amava le ricchezze, ma dentro di sé aveva scoperto un altro desiderio, voleva qualcos’altro, e questo desiderio era divenuto il perno di tutta la sua vita.
La ricerca di Dio da parte di Zaccheo è stata applicata in modo fallimentare alla propria
persona dal poeta Eugenio Montale, in una poesia del Natale del 1970, intitolata Come Zaccheo, in cui conferma il proprio scetticismo verso il Grande Assente, Dio:
«Si tratta di arrampicarsi sul sicomoro per vedere il Signore se mai passi. Ahimè, non sono un rampicante ed anche stando in punta di piedi non l’ho visto».
Nella nostra testimonianza missionaria dobbiamo saper suscitare in chi incontriamo questo desiderio per il Bene eterno. L’annuncio del Vangelo ci provoca a desiderare altro, a non accontentarci, a cercare dentro di noi ciò a cui teniamo di più. Zaccheo era inquieto e riempiva se stesso con la vita che conduceva; al contrario la nostra ricchezza, la nostra pienezza è riposta solo in Dio.
L’inquietudine è sempre stata uno dei sintomi della ricerca umana di Dio, come Agostino ci insegna. L’inquietudine è una voce di Dio, che spinge l’uomo a fare ricerca, a porre domande e ad esigere risposte. È Dio che attrae a sé il figlio smarrito, ponendo nel suo cuore un senso profondo di insoddisfazione per ogni felicità terrena. Una sana inquietudine è strettamente legata alla riflessione sul valore delle cose terrene, che si contraddistinguono per la loro caducità: per quanto belle possono essere, per quanto appariscenti e desiderabili, iniziano, crescono, muoiono. L’attaccamento alle singole cose che passano procura nell’uomo dolore. Il reale desiderio dell’uomo è «di esistere e riposare fra le cose che ama» (Conf. IV, 10.15). Ma come l’uomo può ottenere ciò se le cose che ama sono sottoposte alla legge del divenire? Il contrasto si risolve in Dio, nell’amore e nella parola di Dio, che supera la caducità e mutevolezza dell’essere umano. Solo in Dio si coglie il vero riposo dell’anima, dal momento cheDio è colui che non passa. Perciò il nostro cuore è inquieto, finché non trova in Dio la sua quiete.
Nel nostro cammino dobbiamo essere capaci di intercettare questa inquietudine che alberga nel cuore dell’uomo, di far scoprire ad una persona che, accanto alle innumerevoli preoccupazioni della vita, ci deve essere spazio per ascoltare il nostro io più profondo, di non lasciare che il nostro cuore sia ingombrato dalle tante cose che ci soffocano, dalle tante ansie che portano in un’altra direzione, dalla soddisfazione immediata, dal vivere secondo i propri bisogni o una forma di gratificazione immediata, dal sensazionale e dall’esoterico o, comunque, da qualcosa che è capace di creare dentro di noi emozioni sempre nuove.
Da un lato Gesù cerca l’uomo e vuole raggiungerlo dov’egli si trova; si fa suo compagno di viaggio e commensale, si prende cura della pecorella smarrita (è peccatore!) ed esclusa (è un pubblicano!); dall’altro, l’incontro trasfigura il cuore, cambia la vita, fa risorgere la speranza, fa rinascere la buona e salutare relazione con Dio.
…ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura
Nella ricerca personale del Signore, Zaccheo deve superare i limiti della sua persona, la bassa statura, e gli ostacoli posti dalla folla.
La bassa statura rappresenta i limiti soggettivi, interni a noi, legati alla nostra realtà personale. Ognuno di noi è come è, fatto cioè di aspetti positivi e di altri limitanti. Da una prospettiva positiva, i limiti esistono per farci guardare dentro e spingerci oltre noi stessi. Si può imparare a vivere i propri limiti, conoscendoli ed accettandoli. Come Zaccheo anche noi possiamo vincere la forza dei limiti con la forza dei desideri! Dobbiamo imparare a vivere secondo i nostri desideri profondi per incontrare il Signore Gesù. L’incontro non è essere compagni anonimi, come allo stadio o in una discoteca; l’incontro è vedere una persona e conoscerla, è diventare amici, è condividere la vita come si condivide la mensa. Incontrarsi è creare una comunione profonda con una persona.
La folla rappresenta il mondo e gli altri, le difficoltà di rapporto con le persone e i limiti oggettivi che ci impongono le situazioni esterne e i contesti nei quali si vive. Spesso siamo così condizionati da queste situazioni che si segue la folla e si finisce per perdere la propria identità, accontentandosi di fare come fanno tutti, di accodarsi al gruppo e al contesto sociale, rimanendo anonimi e insignificanti. Se Zaccheo avesse vissuto così non avrebbe mai incontrato Gesù! Si rende conto che non gli è possibile vedere Gesù se non staccandosi dalla folla, correndo avanti, e cercando un appiglio su cui poter aggrapparsi per ovviare alla bassa statura. Non gli importa ora di offrirsi al ridicolo, o di preoccuparsi di quello che avrebbero detto di lui. Zaccheo avrà pensato: “Se resto tra la folla e se pretendo di poter vedere con la piccola statura che ancor oggi mi ritrovo, sono certo che non arriverò a nulla, sarò solo trascinato. Voglio riuscire a vedere sempre più da vicino quell’uomo, che ha detto di sé: Io sono la via, la verità e la vita. Voglio fare questo incontro”. Come Zaccheo bisogna correre avanti, salire su un sicomoro, prendere le distanze dalla folla, guardare dall’alto: bisogna innalzarsi per poter vedere Gesù.
La missione vuole offrire questa opportunità di innalzarsi, di incrociare lo sguardo del Signore, di liberarsi da un certo modo di gestire la mia vita segnato da cultura, moda, lettura della storia e della realtà che ho assorbito dal mondo senza accorgermi. La missione è una grazia per ritornare a considerare ciò che è essenziale nella mia vita, quando nel mio interno si agitano una marea di pensieri, desideri, bisogni, a volte così contrastanti. C’è parecchia folla, ovvero confusione in me, che può suscitare la paura del cambiamento: Perché rischiare di cambiare? Perché rischiare di restare solo? Perché seguire il Signore?
La finalità della missione
1. Incontrarsi con il Signore…
Oggi devo fermarmi a casa tua…
Gesù, nonostante la mormorazione della folla, vuole allacciare un rapporto personale con Zaccheo, vuole entrare nella sua casa (la casa è lo spazio per indicare l’ingresso nella buona relazione con il Signore), dopo aver superato la distanza che lo teneva lontano. Zaccheo, scendi subito… Dio ha fretta! Dio può attendere per anni la conversione di un suo figlio, ma quando vede che la salvezza è matura, allora ha una fretta terribile.
Oggi: indica il momento della salvezza, che è giunto anche per Zaccheo, pubblicano e peccatore. Devo: indica la volontà di Dio, alla quale Gesù si adegua per adempiere l’opera per cui è stato mandato: nulla vada perduto! Fermarmi: questo “restare” sta ad indicare il desiderio di una amicizia, di una comunione e relazione personale. A casa tua: ricevere il Cristo nella propria “casa”, o “entrare nel suo Regno” sta sempre ad indicare il mistero di una unione vicendevole.
Accogliere l’invito di Gesù crea un’identità nuova. L’incontro con Gesù è un evento che suscita non solo un’azione (desiderio di vedere) ma anche una re-azione (il gesto di cambiare); è un incontro salvifico, beatificante, rimette l’uomo in piedi, lo fa letteralmente “ri-sorgere”, gli dischiude la speranza. Lo sguardo amante del Signore spinge Zaccheo a mutare il suo stesso sguardo, a vedere negli altri uomini non un occasione di guadagno, ma persone vittime della sua ingiustizia, alle quali egli deve restituire il maltolto; non solo, ma egli vuole condividere i suoi beni con i poveri. Si impegna a compiere un gesto concretissimo che riguarda proprio le sue ricchezze, per le quali si era smarrito nel peccato.
La fretta di Zaccheo indica la percezione di essere davanti a un particolare intervento di Dio
nella sua vita; è l’occasione da non lasciarsi sfuggire. La gioia di Zaccheo si contrappone alla tristezza del giovane ricco, che aveva chiesto spiegazioni su come ottenere la vita eterna, ma aveva mostrato tutta la sua incapacità a staccarsi dai propri beni.
Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo
Cristo sa vedere un uomo e un figlio di Abramo dove gli altri vedono solo un peccatore, e a quest’uomo offre la salvezza. L’evangelista, con l’espressione finale, non descrive solo la missione di Gesù, ma la rivelazione del suo volto: Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto. Gesù è il segno reale della ricerca amorosa di Dio per l’uomo. La ricerca è la salvezza dell’uomo e la sua vita in pienezza. Come è entrata quel giorno nella casa di Zaccheo, così la salvezza portata dal Signore Gesù può entrare ogni giorno nelle nostre case.
Gesù è colui che cerca i perduti e li salva: è il pastore venuto a cercare e salvare la pecora smarrita, e lo ha fatto sia frequentando le case dei peccatori sia lasciandosi crocifiggere tra gli empi. In Gesù la salvezza impossibile è resa possibile. La Buona Notizia è per tutti. La speranza di Gesù è quella di una Chiesa in cui tutti siano accolti; i cui discepoli escono dai loro cenacoli per andare a cercare e a salvare chi si era perduto.
2. ….per riscoprire la dimensione comunitaria della fede
L’invito che deve partire da questa missione è riprendere familiarità con la comunità cristiana, sviluppare uno spirito di fraterna collaborazione, crescere nella comunione con Dio e nell’amore fraterno, essere reintegrati attraverso un cammino di conversione nella casa di Dio. Dalla casa dell’uomo si deve passare alla casa di Dio. La gioia e la condivisione sono i due aspetti che caratterizzano ora la vita del credente e che illustrano in cosa consista la salvezza,quell’amore gratuito che restituisce vita e dignità alla persona umana. È questa la conversione. La misericordia produce effetti benefici inimmaginabili; il pentimento non rimane a livello emozionale, epidermico, ma tocca il cuore, le scelte della persona, che avverte il bisogno di fare giustizia, di riparare con responsabilità al male commesso. La generosità di Zaccheo verso i poveri manifesta senza dubbio l’effetto positivo e sconvolgente dell’incontro con il Signore.
Nell’Eucaristia il Signore risponde al nostro desiderio di incontrarlo per condividere, come Zaccheo, la sua vita. Gesù bussa, attende, chiede di entrare: Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me (Ap 3,20). Noi evangelizzatori, in quanto per primi siamo stati evangelizzati, portiamo questo invito del Signore nelle case. Gesù e la salvezza sono la stessa cosa. Se in una casa entra Gesù vi entra anche la salvezza e per ciascun uomo è sempre possibile ristabilire la comunione con Lui.
In conclusione
Come conclusione, leggiamo alcuni brani del discorso 174 di s. Agostino, che commenta l’episodio di Zaccheo. Il discorso completo si può leggere al seguente indirizzo: http://www.augustinus.it/italiano/discorsi/index2.htm
Fa’ attenzione al Vangelo. Il Figlio dell’uomo è venuto infatti a cercare e a salvare ciò che era perduto (Lc
19,10). Se l’uomo non si fosse perduto, il Figlio dell’uomo non sarebbe venuto. Perciò l’uomo si era perduto, è venuto Dio-uomo e l’uomo è stato ritrovato. L’uomo si era perduto per libera decisione della volontà: Dio-uomo è venuto per la grazia liberatrice. […] Riconosci dunque il Cristo, egli è pieno di grazia. Egli ti vuole versare ciò di cui è pieno. Questo ti dice: Cerca i miei doni, dimentica i tuoi meriti, perché se io cercassi i tuoi meriti, tu non giungeresti ai miei doni. Non ti esaltare, sii piccolo, sii Zaccheo (§ 2.2).
Ma tu dirai: Se io sarò Zaccheo, a causa della folla non potrò vedere Gesù. Non rattristarti, sali sull’albero dove, per te pendette Gesù e vedrai Gesù. E su quale specie di albero salì Zaccheo? Su di un sicomoro. Nelle nostre regioni o non esiste affatto o forse raramente cresce in qualche luogo, ma in quelle località abbonda questa specie e il frutto. Sono chiamati sicomori dei pomi simili ai fichi, ma tuttavia diversi; lo possono sapere coloro che li videro e li gustarono. Tuttavia, per quanto indicano con l’etimologia del nome, in latino i sicomori sono detti “falsi fichi”. Ora guarda il mio Zaccheo, osservalo, ti prego, mentre vuole vedere Gesù in mezzo alla folla e non ne è capace. Egli era umile infatti, la folla era superba; e proprio la folla, come capita abitualmente in una ressa, impediva a se stessa di vedere bene il Signore; si sollevò al di sopra della folla e vide Gesù, non essendo di ostacolo la folla. La folla infatti si rivolge agli umili, a coloro che percorrono la via dell’umiltà, a coloro che affidano a Dio le ingiurie ricevute e che non cercano la vendetta sui nemici, la folla insulta e dice: Uomo senza difesa, che non ti puoi vendicare. La folla fa in modo che non si veda Gesù; la folla, che si gloria, che si vanta quando è riuscita a vendicarsi, ostacola perché non si veda colui che, crocifisso, dice: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34). Perciò, volendolo vedere, Zaccheo, nel quale si figurava la persona degli umili, non badò alla folla che ostacolava, ma salì su un sicomoro come l’albero del falso frutto. Dice infatti l’Apostolo: Noi predichiamo Cristo crocifisso, certamente scandalo per i Giudei – considera il sicomoro – stoltezza invece per i Pagani (1Cor 1,23). Infine, a motivo della croce di Cristo, i sapienti di questo mondo c’insultano e dicono: Che saggezza avete voi che adorate un Dio crocifisso? Quale sapienza abbiamo? Non di certo la vostra. La sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Non abbiamo davvero la vostra saggezza. Ma voi dite stolta la nostra saggezza. Dite pure quello che volete; noi possiamo salire sul sicomoro e vedere Gesù. Voi non potete vedere Gesù appunto perché vi vergognate di salire sul sicomoro. Si aggrappi Zaccheo al sicomoro, salga umile la croce. E’ poca cosa il suo salire: per non arrossire della croce di Cristo, la fissi sulla fronte dove ha posto l’onore, proprio là, là, sulla parte del volto dove appare il rossore, là si fissi per non provarne vergogna. Penso che tu tene ridi del sicomoro, però esso mi ha permesso di vedere il Signore. Ma tu te ne ridi del sicomoro, perché sei uomo; ma la stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini (§ 3.3).
E il Signore vide proprio Zaccheo. Fu visto e vide; ma se non fosse stato veduto, non avrebbe visto. Quelli infatti che ha predestinati, li ha anche chiamati. Egli è colui che parlò a Natanaele, il quale – per così dire, con la sua testimonianza, già stava collaborando al Vangelo – disse: Da Nazareth può venire qualcosa di buono? (Gv 1,46) Il Signore a lui: Prima che Filippo ti chiamasse, ti ho visto quando eri sotto l’albero di fico (Gv 1,48). Voi sapete come i primi peccatori, Adamo ed Eva, si adattassero delle cinture. Quando peccarono si adattarono delle cinture di foglie di fico e coprirono le parti vergognose; infatti a causa del peccato suscitarono il senso della vergogna. Pertanto, se si fecero cinture i primi peccatori – dai quali discendiamo, nei quali eravamo periti – venendo egli a cercare e a salvare ciò che era perduto, con foglie di fico si fecero di che coprire le parti vergognose, che altro si volle dire con: Ti ho visto quando eri sotto l’albero di fico, all’infuori di: Non saresti venuto a colui che purifica dai peccati se egli per primo non ti avesse veduto nel velamento del peccato? Siamo stati veduti perché potessimo vedere; siamo stati amati affinché potessimo amare. Il mio Dio, la sua misericordia mi precederà (§ 4.4).
Ora dunque il Signore, che aveva accolto Zaccheo nel cuore, si è degnato di essere ospitato nella casa di lui. Disse: Zaccheo, scendi subito, perché devo fermarmi in casa tua. (Quello riteneva un grande beneficio vedere Gesù). Egli, che considerava un grande e indicibile beneficio vederlo passare, meritò immediatamente di averlo in casa. Viene infusa la grazia, la fede opera per mezzo dell’amore; Cristo, che già abitava nel cuore, viene ricevuto in casa. Dice a Cristo Zaccheo: Signore, do la metà dei miei beni ai poveri e, se in qualche cosa ho frodato alcuno, restituisco il quadruplo. Quasi a dire: Per questo mi trattengo una metà, non in possesso, ma per avere di che rendere. Ecco in realtà che vuol dire ricevere Cristo, accoglierlo in cuore. Era là infatti Cristo, era in Zaccheo e attraverso di lui Zaccheo diceva a se stesso ciò che ascoltava dalla bocca di lui. Dice infatti così l’Apostolo: Che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori (Ef 3,17) (§ 4.5).
Perciò, perché si trattava di Zaccheo, che era il capo dei Pubblicani, che era assai peccatore, quella folla, apparentemente sana, che impediva di vedere Gesù, rimase stupita e contestò il fatto che Gesù era entrato nella casa di un peccatore. Era questo un riprovare l’ingresso del Medico nella casa di un malato. Perché appunto da peccatore Zaccheo fu deriso, fu deriso in realtà, lui sano, da gente insana, Gesù rispose ai derisori: Oggi la salvezza è entrata in questa casa. Ecco il motivo del mio ingresso: Oggi è entrata la salvezza. Se il Salvatore non fosse entrato, in quella casa non sarebbe assolutamente entrata la salvezza. Perché, infermo, ti meravigli allora? Chiama anche tu Gesù, non crederti sano. Chi riceve il medico è un malato che ha speranza; è un infermo senza rimedio chi, per insensatezza, fa morire il medico. Che follia è mai quella di chi uccide il medico? Non è grande veramente la bontà e la potenza del medico che del suo sangue ha fatto la medicina per il suo insensato uccisore? Colui che era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto non diceva infatti: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno, mentre pendeva innocente sulla croce? Sono dei folli, io sono medico, infieriscano, tollero con pazienza; nell’uccidermi darò allora la sanità. Facciamo parte dunque di coloro che egli risana. È parola umana e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori; grandi e piccoli, a salvare i peccatori. Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto (§ 5.6).
È parola umana e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo. Perché è venuto nel mondo? È venuto nel mondo per salvare i peccatori. Non c’è stata altra causa per cui dovesse venire nel mondo. Non lo hanno attirato dal cielo alla terra i nostri buoni meriti, ma i peccati. Questa è la causa per cui doveva venire: a salvare i peccatori. E lo chiamerai – disse l’angelo – Gesù. Perché Lo chiamerai Gesù? Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. Lo chiamerai Gesù. Perché Gesù? Qual è la ragione di questo nome? Ascolta il perché: Egli infatti salverà il suo popolo. Da che cosa? Dai suoi peccati. Il suo popolo dai suoi peccati (Mt 1,21) (§ 7.8).
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